Paolo Vagaggini e Roberto Scalacci durante il corso ONAV alla sede CIA di Bruxelles |
Ho avuto la fortuna la scorsa settimana di poter passare due serate con
Paolo Vagaggini, secondo molti il maggiore esperto vivente di Sangiovese, enologo
di fama mondiale, che è stato uno dei cinque winemakers selezionati dalla
rivista americana leader del settore Wine Enthusiast nel 2013 per essere
designato quale enologo dell'anno ( il riconoscimento è andato poi allo chef de
cave di Moêt et Chandon Benoît Gouez, premiando forse piu' il "sistema Francia" che l'enologo in sé , seppur bravo).
Nella
prima serata nel nostro Corso ONAV tenuto presso la sede della rappresentanza
europea della Confederazione Italiana degli Agricoltori, Vagaggini ha
magistralmente descritto la vinificazione in rosso agli allievi assaggiatori
con una naturalezza ed un' aneddotica che solo i grandi possono avere: del
resto essere il consulente di un terzo delle cantine di Montalcino e fare il
Brunello per molte altre fra cui Biondi Santi, Ciacci Piccolomini di Aragona
per passare a Brunelli e a Il Palazzone (solo per citarne alcune), gli dà
un'autorevolezza quasi automatica, in parte derivante anche da quel suo tono di voce basso e quel
suo modo di parlare all'impronta, mai scontato, ma denso di contenuto.
All'estero la sua reputazione è notevolissima, e da grande conoscitore dei
mercati, in questa prima serata ha snocciolato, fra le altre cose, un concetto
che riassume l'importanza in Europa delle denominazioni d'origine e del
territorio in generale:
"Negli USA i clienti in un
ristorante vogliono un merlot, un cabernet, uno chardonnay, a limite un
sangiovese, parlando solo del vitigno, come prodotto a sé, piuttosto
spersonalizzato e decontestualizzato…non chiedono mai un Brunello di
Montalcino, un Barolo, un Frascati, un Aglianico del Vulture… anche in Cina
cominciano a ragionare cosi'…solo da noi, in Europa, e dobbiamo far del tutto per preservare cio'…
si richiede il frutto di un territorio,
quella combinazione di fattori umani, ambientali, agronomici e climatici
che solo un vino di un determinato terroir ci puo' dare…questa è la vera
ricchezza del vino …quella di esprimere, attraverso un minuzioso lavoro, un territorio e le sue caratteristiche"…queste
le sue parole al corso, semplici e dirette, che mi hanno molto colpito proprio
per la loro immediatezza.
Il giorno successivo, invece, altra kermesse, questa volta nel locale Jamon
Jamon a Ixelles di due colleghi assaggiatori ONAV, Lola Cardenas e Matteo Rastelli.
La serata prevedeva la presentazione dell'azienda Amantis, la cui titolare
è Bernardetta Tacconi, moglie di Paolo Vagaggini, che ovviamente è l’autore di
tutti i vini. Bernardetta dopo la presentazione dell'amico Roberto Scalacci, direttore
dell'Ufficio CIA di Bruxelles e grande esperto di vino, ha introdotto l'azienda, specificando che il
nome Amantis, comprensibile in ogni lingua, testimonia della passione per il
vino e per il territorio che l’hanno accompagnata in questa avventura, cominciata nel 2000. 7-8 gli ettari di proprietà
per una produzione di circa 40.000 bottiglie annue. L'impianto prevede in media
8100 ceppi per ettaro con bassissimo rendimento e grande concentrazione,
600-700 grammi per pianta. In alcuni casi una sperimentazione estrema ha previsto che si coltivasse una parte del
vigneto a 20000 ceppi per ettari e 150 g per pianta (il vigneto più denso del mondo!), con una conseguente iper-concentrazione
dei mosti, soprattutto per la produzione degli IGT ad ispirazione Supertuscan,
di portata internazionale, che se cadono per terra "bucano il terreno", come ha tenuto a ribadire l'enologo
senese.
La DOC, prosegue Vagaggini, è la
Montecucco Sangiovese, di recente (2011) assurta a DOCG e l'azienda, collocata
fra l'Amiata e Montalcino, si trova a Montenero d'Orcia , nel comune di Castel
Del Piano, già in provincia di Grosseto. Sta proprio sulla riva sinistra del fiume
Orcia, e azzardando un paragone, Paolo, già collega del maestro Denis Dubourdieu
dell'Università di Bordeaux, provoca "… come a Bordeaux, dove i vini
migliori sono sulla Rive Gauche, anche noi siamo sulla rive gauche dell'Orcia…solo
che la Rive Droite, ahinoi!!, è proprio Montalcino". Qui Paolo tentenna e ripete che comunque a
livello di brand, nonostante spesso
la materia prima, le tecniche e i
vini siano spesso allo stesso livello di Montalcino, i
risultanti non sono quelli attesi: "Il
marketing non ci premia. Fra un medio Brunello o Rosso di Montalcino ed un
eccellente Montecucco il consumatore medio preferisce il Brunello. È questo il
prezzo delle giovani denominazioni…ma non ci arrendiamo!".
Introduce il primo vino. Si tratta di un Birbanera 2010, base aziendale;
IGT Toscana con un' etichetta curiosa, che secondo la filosofia aziendale, deve
esprimere il vino che c'è dentro: la birba in toscano è il gatto sul tetto e quindi questo vino, blend fra un 60 % di sangiovese, 20%
merlot, poi colorino, e petit verdot, deve essere abile, scattante e adattabile ad ogni palato
come un felino. Il sangiovese è riconoscibile all'olfatto, con quella nota di
viola che è una costante, oltre a ciliegia, quasi cotta, e una certa speziatura
, di pepe nero, che forse proviene, assieme alla robustezza, dal merlot. Molto
suadente e "di grande possenza",
come ogni IGT, e di una spiccata gradevolezza. Paolo poi, sottolineando la
necessità dell'affinamento, prosegue
dicendo che "Non c'è fiera che
tenga. E' il vino che vi parlerà e che vi dirà quando è pronto". Cio'
dicendoci quanto alta sia la ricerca della qualità, valore guida superiore
sicuramente ai capricci del mercato.
Con il secondo IGT, il GOGHI 2010, abbiamo una spiritosa etichetta a forma
di orsacchiotto, che è piaciuta molto anche alla mia piccola Benedetta, e gran
parte del vino proveniente dal vigneto iper concentrato di cui abbiamo parlato
prima. Grande struttura, molta morbidezza, ciliegia, tabacco biondo, speziature
dolci, ma anche mon cheri, e un
finale tostato quasi di caffè al naso, con un tannino soffice, seducente ed una certa persistenza in bocca con retrogusto
non eccessivamente affetto da disidratazione. Qui, secondo Bernardetta, è
proprio l'Alicante, unica variante rispetto al Birbanera, vitigno di origine
spagnola, che detta legge sui profumi.
Qui Paolo chiarisce, quasi a creare un punto di cesura fra quanto detto
sinora e quanto da dire poi: " Come vedete con gli IGT prendiamo di mira i
mercati e sperimentando in questo modo ci divertiamo noi e facciamo contenti
chi li assaggia….quando andiamo sul Sangiovese, dovendo esprimere un territorio,
il gioco si fa serio" Qui ancora Paolo ci dice che il Sangiovese è
molto "lunatico" come
vitigno, risente molto dell'annata e del clima, e che , proprio per la sua
marcata aggressività, bisogna farlo riposare almeno un anno in bottiglia dopo il
classico affinamento in legno.
Quest'anno il sangiovese/brunello è di un'annata old style, come ha già annunciato in un video; è equilibrato,
proprio perché il clima non ha dato problemi, e quindi sarà destinato ad una
lavorazione tranquilla.
Assaggio il 2007, annata severa, e al naso risveglia in me le emozioni
provate con i migliori sangiovese. Visciole, speziatura dolce, polvere e
cioccolato e tannini molto dolci dopo 24 mesi di grandi botti di rovere di
Slavonia e in bocca bevibilità assoluta e morbidezza eccelsa. Il legno quasi
non si sente all’olfattiva , né si riverbera in bocca : “ Il boisé entra nel bouquet e non sovrasta il gusto del vino…in ogni mio
vino cerco di non snaturare le caratterstiche del vitigno con il legno, non è
nel mio stile” – specifica Vagaggini. Il 2008 Sangiovese Montecucco è più
pulito, con una nota di cilegia più chiara e una violetta percepibilissima.
Dulcis in fundo il Supertuscan della casa, quell’Iperione “titanico” per
possenza e struttura, ma elegantissimo in quanto a espressione gustativa. 90 % Cabernet Franc e
10 % Sangiovese, durante i rimontaggi non prometteva bene, almeno per i cantinieri, per il fortissimo
odore del cabernet, viene prodotto ogni tre anni dalle migliori vigne in
tremila esemplari. Abbiamo degustato il 2005, ancora tremendamente giovane alla visiva,
olfattiva e gustativa, molto speziato con un “after eight” (cioccolatino alla menta ) eclatante, toni cangianti
fino al cioccolato fondente a scaglie, con qualche accenno varietale di erbaceo
e peperone verde ancora intatti. Al palato è rotondo, pregnante, poi persistente
e lungo, con retrogusto quasi balsamico. Veramente un buon vino.
Per concludere Scalacci ribadisce che uno dei complimenti più accettati da
Vagaggini è quello “di fare i vini tutti
diversi”, rispettando uno ad uno territori e produttori di provenienza. Il fatto
di fare il taglio non al telefono, ma con i produttori che vanno via dopo tre ore “disfatti”
dal laboratorio a Siena, è indicativo
dell’attenzione con cui si compiono certe operazioni.
Con Paolo e sua moglie Bernardetta Tacconi, titolare della Amantis |
Alla mia domanda su enologi-consulenti chiacchierati e pratiche conducenti
a prodotti "poco personalizzati” (vedi micro-ossigenazione), Paolo si è
espresso molto diplomaticamente dimostrandosi in maniera velata contro questi
modi di fare, proprio perché per piccoli produttori come Lui queste pratiche
sono inconcepibili. Forse non lo sono se la produzione diventa industriale, ma
non è il suo caso.
In queste due sere mi sono veramente emozionato con Paolo Vagaggini, che mi
ha fatto respirare un’aria di “Sangiovesità”, mista a semplicità, trasmettendomi i
veri valori che sorreggono questa bevanda straordinaria, frutto di terre sempre
diverse.
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