lunedì 3 dicembre 2012

Viaggio nella Champagne...per brindare a un incontro - seconda parte


Nel castello di Chateau Thierry, assieme all'Aquila Americana

Eravamo rimasti nello scorso post verso la metà del viaggio...nottata dunque a Chateau Thierry, limite estremo occidentale della Valle della Marna e dove il fiume scorre nel centro-città; paesotto che non ci ha offerto granché di interessante a livello di bellezze architettoniche o monumentali (anche perché mezzo centro era devastato dai lavori). In compenso abbiamo potuto assistere in un assolato pomeriggio, nel castello dove la leggenda dice che passo' Giovanna d'Arco prima della presa di Reims a invertire la rotta durante la guerra dei Cent'anni contro la corona britannica, ad uno spettacolo molto interessante ed emozionante di rievocazione medievale con cavalieri, falconieri e rapaci d'ogni dove, che, comunque è rimasto impresso nella memoria. Forse dal nome della cittadina cosi' "ben-suonante" e dal fatto di avere dato i natali a Jean De La Fontaine, ancor vivo ricordo con le sue favole della terza liceo, ci si sarebbe aspettato qualcosina in più...ma tant'è...

L'insegna della Michel Henriet

Giorno dopo alla ricerca del contadino vigneron indépendant...un paio di indirizzi segnalatimi dal mio collega belga delle Fiandre, telefonata già avvenuta qualche giorno prima, ed eccoci a Verzenay, nella Montagna di Reims, comune premier cru, dove la principale attività economica è lo champagne. Facciamo un giretto, vediamo il Mulino della Mumm e i suoi vigneti,  e ad un insospettabile angolino, eccoci apparire la piccola insegna, con decorazione floreale, dobbiamo dire assai elegante, della Michel Henriet. Normalmente l'Azienda è gestita dalla figlia Magali, ma questa volta, suonando al citofono, ci ha accolto suo padre. Dal linguaggio schietto e dai tratti rubicondi, questo signore già un po' avanti con l'età, era quasi imbarazzato quando ho detto che, oltre a voler degustare i suoi vini, volevo parlare un po' della cantina, di come interpreta il suo ruolo di vigneron.
Ci dice, dopo esserci seduti in uno spazio per i clienti molto semplice e sito nella taverna di casa,  che gli Henriet praticamente sono vigneron da sempre,  recoltants manipulants (RM in etichetta) da cinque generazioni almeno, che possiedono nemmeno cinque ettari solo Grand Cru a Verzenay e che erano prima molti di più, ma poi un suo fratello ha deciso di staccarsi. Che la produzione di 45.000 bottiglie, con una resa di 100 litri ogni 160 kg di uva,  se ne va ogni anno senza alcun residuo e che gli inglesi e soprattutto i belgi sono i maggiori consumatori. Per l'Italia non ha importatori e quindi per berlo bisogna quantomeno oltrepassare le Alpi.

Magali Henriet
Magali Henriet


Ci fa assaggiare tre vini, un blanc de blancs, ben fatto , ma non impressionante, un Carte d'Or millesimato del 2004, da appassionati,  con sentori di pane briochato e miele, ed il brut tradition a maggioranza pinot noir, il più semplice, ma più impattante: un fiume di freschezza e acidità, bollicine persistenti anche in bocca, profumi citrici che hanno la meglio sulla crosta di pane, ben adatto ad aperitivi e anche a piatti di pesce, come buon "sgrassatore". Il prezzo di Euro 13.50 poi ce lo ha fatto sembrare da subito una buona scelta.
La cosa più curiosa è stato scendere sotto in cantina, nei tre piani sotto il livello del suolo, dove abbiamo avuto modo di vedere le presse, les "cuves" d'acciaio dove il vino riposa ed altri attrezzi tipici, quali la macchina per effettuare la sboccatura, con la salamoia che puo' arrivare a 30 gradi sotto zero. Tutto molto artigianale, ma estremamente collaudato. Alla domanda "E lo stile del vino?" Michel ha replicato "A quello ci pensa l'enologo e in parte mia figlia, ma facciamo solo qualche bottiglia di Extra-dry, perché il mercato non vuole altre tipologie": tutto cio' ci dà un'idea che comunque da quelle parti è normale conoscere il vino, è normale che lo si sappia fare, e che l'immagine all'esterno dello Champagne è forse più altisonante di quella che gli stessi produttori hanno. Segno che il marketing ha agito e continua ad agire bene, con un prodotto che comunque è di per sé in media di assoluto pregio.

Michel Henriet, nelle sue cantine

A ribadire poi che lo champagne fa nome da solo il fatto che all'ingresso, in attesa , c'erano due ragazzi inglesi accompagnati dalla signora Henriet che venivano per comprare delle bottiglie...

Il trasferimento nelle colline della montagna di Reims fino a Epernay, dove abbiamo trascorso la terza notte, ci ha portato nel comune vero regno delle grandi maisons. Cittadina gradevole alla vista, piena di bar à champagne, ristoranti champenois, con un solo leitmotiv commerciale: il vino con le bollicine. Dopo una visita all'attrezzato ufficio del turismo, dove si alternano ogni giorno, almeno d'estate, le maisons più piccole con delle degustazioni dei loro champagne di base, abbiamo cenato presso l'elegantissimo Restaurant du Théâtre (qui il sito molto curato), nella piazza centrale della città: ottima la "coupe" di entrata di Champagne rigorosamente locale De Castellane assieme al classico, ma mai scontato, foie de canard accompagnato da frutta secca. Poi spazio ai sapori del cuoco fiammingo Lieven Vercauteren, con  cotolette d' agnello deliziose e  petto d'anatra alle zucchine che ho abbinato  con un Syrah Croze Hermitage della "garanzia" Etienne Guigal (17,00 Euro, mezza bottiglia). Il tutto seguito da altrettanto gustoso  dessert di formaggi francesi, a cui non abbiamo proprio saputo dir di no. Costo? Nemmeno 45,00 Euro a persona, ragionevole se pensiamo al luogo e alla qualità.

La sede di Perrier Jouet in notturna sul viale dello Champagne

E dopo cena? Ma si', passeggiata nell'incantevole avenue dello Champagne, con le suggestive illuminazioni delle grandiose sedi delle principali case locali che scorrono in fila lungo il cammino, da Moët et Chandon à Perrier Jouet, per passare a Pol Roger, Esterlin fino a giungere a De Venoge, solo per dirne alcune. Letteralmente indimenticabile e forse anche inaspettato: merita davvero da solo il riconoscimento UNESCO, senza dimenticare poi che sempre nella stessa avenue ci sono Musei del Vino, la sede del famoso CIVC, il Consorzio di tutela dello Champagne, e la sede del comune di Epernay, garnita di giardini degni delle migliori ville seicentesche in Italia: certo da queste parti il Comune non deve patire problemi di bilancio a giudicare dalla sontuosa sede e dall'accuratezza nel gestire il verde circostante lo stesso edificio.

Charles Philipponat al Clos des Goisses

Nel giorno successivo, dopo visita mattutina ad Epernay  ci siamo spostati alla media casa di Champagne, circa 650 mila bottiglie prodotte all'anno, con privilegiata visita dell'azienda  Philipponat  à Mareuil sur Aÿ, estremo orientale della Valle della Marna,  tenuta in italiano dalla competentissima e simpaticissima Nicoletta De Nicolo', manager commerciale con master in marketing del vino in Francia e corteggiata, sinora senza esito, anche dai big nostrani delle bollicine in Franciacorta.

Durante la visita ci fa vedere i luoghi di lavoro della Philipponat, maison fondata da una famiglia stabilitasi nella Marna già dal sedicesimo secolo e oggi condotta da Charles Phlipponat, dopo che i suoi avi Auguste e Pierre avevano comprato lo chateau a Mareuil già nel 1910, acquisendo le cantine in gesso che risalivano al 1700. Nicoletta, con percepibile accento veneto,  ci dice che Charles è al timone dell'azienda da una ventina di anni dopo MBA all'INSEAD di Parigi ed esperienza come Segretario Generale di Moët et Chandon, e che assieme all'enologo Thierry Garnier ogni anno prima di arrivare alla cuvée che prosegue lo stile Philipponat, assaggiano più di ottanta campioni della cuvée che proviene dai circa cinquanta vini dei diversi vigneti di Philipponat ( ricordiamo che il 75% delle uve provenienti da conferitori di vecchia data e che quindi oltre che produttore da uve proprie, Récoltant Manipulant, Philipponat, come tutti i grandi produttori è anche Négociant Manipulant, vale a dire che compra uva da altri coltivatori).
I dosaggi, vale a dire l'aggiunta di zuccheri alla sboccatura,  sono bassi per il brut, mai più di 8 grammi per litro, abbondantemente sotto i 12 grammi permessi dopo la riforma del 2009 (regolamento europeo 607 del 2009) e caratteristica dei Philipponat è quella di evitare la fermentazione malolattica per i vini più importanti (molti millesimati e Clos des Goisses) per favorire una maggiore spalla acida adatta all'invecchiamento e di far già fermentare almeno il 40 per cento dei vini in delle barrique, dove già  riescono a prendere quell'affumicato, tostato e mielato che vuole essere, assieme agli aromi naturali di chiara matrice citrica, quelli caratteristici di Philipponat, secondo lo stesso Charles.

Un Clos des Goisses al femminile, con Nicoletta De Nicolo'

Momento emozionante è stato quello della visita, solo per me e Doretta ad uno dei "luoghi sacri" dello Champagne, quel Clos des Goisses, talmente scosceso che è raggiungibile solo in fuoristrada. Viticoltura quasi eroica, vigneto di 5,5 ettari con 65 per cento di pinot nero e 35 di chardonnay, esposizione a sud, con collinetta di gesso con pendenze del 40 per cento  che scende a picco sullo specchio d'acqua della Marna.
Prima ancora Nicoletta ci aveva portato nella show-room, per farci degustare  quasi  l'intera gamma degli champagne della casa: il Royal Reserve, il brut diciamo di base (50 % pinot nero, 30 chardonnay e 20 pinot meunier), già complesso con tre anni di invecchiamento sulle fecce, dagli aromi di fiori gialli e miele e di agrumi glassati, in bocca esalta per freschezza di frutti che dà anche verso quelli di bosco e un'eleganza che si dimostra anche nel finale lungo a retrogusto piuttosto tostato. Mi ha colpito per un'effervescenza abbastanza limitata alla vista, che invece in bocca è sbocciata impetuosa, rimanendo a lungo fra le papille: va bene come aperitivo, ma, senza carni elaborate,  può essere un buon compagno di viaggio durante tutto il pasto (il costo è già un po' più elevato, attorno ai 30,00  euro nelle enoteche di Reims, visto che Philipponat non vende nello show-room).
Altro pezzo forte che mi ha colpito è stato il Grand Blanc da soli vini base Chardonnay della Cote des Blancs e della Montagne de Reims: i sentori tipici  e l'eleganza dello chardonnay secco ci sono tutti, dai fiori gialli al burrato a qualcosa che in bocca mi è sembrato un misto fra nocciola, dulce de leche e cioccolato bianco, dati dai 5 anni passati sui lieviti e da una addolcimento della citricità dato dalla fermentazione malolattica. Il tutto in connubio perfetto con una bocca adeguatamente e finemente "pétillante" ed un retrogusto lungo e rotondo in bocca. Sicuramente ottimo con pesce, ma anche per un sontuoso aperitivo. Se parliamo del millesimato 2004 dobbiamo salire a cinquanta euro per allietare i nostri sensi di questa prelibatezza.

Ancora un'immagine di uno dei vigneti storici della Champagne



Poi come dimenticare la degustazione del Clos des Goisses, stereotipo dello Champagne complesso, con naso cangiante da fragranza di pane e briosche e frutti di bosco, per passare al miele e poi al tostato e all'affumicato, cosi' tanto ricercato da Charles come marchio di fabbrica. L'invecchiamento in cantina è decennale ed il vino è quasi eterno in bocca, con la sua mineralità sempre pungente proveniente dal terreno in "craie" che si riverbera al palato e con una complessità che non disdegna abbinamenti arditi, persino di selvaggina o tartufo. Altra categoria di champagne, adatta forse a chi conosce già un po' questo mondo: chi si aspetta solo acidità e bollicine resterà, sebbene impressionato, forse deluso, sebbene il prezzo che varia dai 120 ai 150 Euro, a seconda del millesimo.
Ottimo anche lo champagne dolce, il Sublime Réserve da uve chardonnay al 100% con trenta grammi/litro di zucchero residuo, che ricorda, almeno al naso, forse più i passiti che gli spumanti freschi dolci, e che ben si abbina  con foie gras e dolci a base di crema. Dieci anni  di invecchiamento!! Troppo? Forse... se si pensa, pero',  come ci ha detto Nicoletta,  che la gamma Philipponat era quella preferita dall'avvocato Agnelli, si intuisce che di certo non sono assolutamente champagne di tutti i giorni, ma che prediligono ancor più degli altri, le grandi occasioni. La stessa Nicoletta per l'ultima cena della gita ci  ha consigliato un altro ristorante tipico, la Brasserie des Boulingrin a Reims, dove ben abbiamo potuto ancora una volta ribadire a buoni livelli, la formula coupe de champagne iniziale e terrina di foie gras, e piatto di carne, manzo alla bernaise con decoroso contorno di verdure e cotolette d' agnello tanto care alla mia compagna e vino rosso ancora della Cote du Rhone. Non fantasmagorico, è pur sempre una brasserie, ma vale molto la pena, costo sotto i 40,00.

L'indomani, dopo spesa in enoteca sotto la Cathédrale, dove mi sono permesso di chiedere uno champagne di un négociant beccandomi la ramanzina del proprietario che ci ha detto che assolutamente non tratta chi usa solo uve degli altri, siamo tornati a Bruxelles, felici e con un paio di chili in più...un viaggio da riproporre, con le dovute varianti, e da consigliare a tutti e specie agli enofili!!

PS: durante tutto il viaggio il tormentone del grande Peppino di Capri, di cui oramai anche la piccola Benedetta intona il ritornello, è risuonato vivo  nei nostri timpani. Abbiamo fatto persino l'esegesi del testo, diario di viaggio di un playboy di altri tempi (si era nel 1973), e dove il "gettare via i perché" di un passaggio riassume tutto :-).




martedì 6 novembre 2012

Viaggio nella Champagne...per brindare a un incontro!! - prima parte



Un classico paesaggio della Champagne

Era da tempo che volevo visitare la Champagne. E cosi' ad agosto con Doretta (la mia compagna) e Benedetta (mia figlia), al solito perfetta nelle laboriose cene dei ristoranti champenois, abbiamo peregrinato per qualche giorno nella terra per eccelenza delle bollicine. Ero proprio voglioso di vedere l'organizzazione di quella macchina da guerra che con oltre 15000 produttori riesce a battere ogni tipo di crisi, con 323 milioni di bottiglie vendute nel 2011 per un fatturato di 4.4 miliardi di Euro. Rimanendo ai numeri, fa impressione vedere com il Belgio consumi circa 9,5 milioni di bottiglie l'anno, vale a dire 2 milioni in più dell'Italia, risultando il quinto consumatore al mondo dopo Francia , Regno Unito, Usa e Germania (noi siamo i settimi dietro il Giappone). Tutto si spiega però: Reims è a due ore e mezza da Bruxelles e loro non hanno né Trento, né tantomeno la Franciacorta!!.

Here we go!!. Lo so che per un blog è lungo assai, ma ho deciso di pubblicare questo articolo in due  puntate, ....sarebbe un un peccato avere preso tutti quegli appunti per essere poi molto sintetici!!

Siamo partiti avendo un percorso prestabilito: due case di rilievo, una media e un vigneron indépendant, un piccolo produttore da visitare, per comprendere un po' la varietà della produzione. Devo ammettere che l'amore per le bollicine mi proviene da una predilezione per determinati Franciacorta, e che all'inizio ero un po'scettico sullo Champagne, vino piuttosto "status symbol" che mi faceva un po' ragionare come Paolo Conte in Bartali "...e i francesi che si incazzano, che le palle ancora gli girano". Tutto ciò completamente cancellato dopo ritorno in macchina con lauta scorta di Bollicine della Marna al seguito. Tutto cio che è qualità deve poter essere nostro bagaglio, specie se siamo dei sommelier. I campanilismi si', proprio quelli,  condizionano ancora troppo il mercato del vino, che si guarda bene dal poter veramente essere quale reale "mercato unico europeo", che a breve invece sarà rilanciato dalle istituzioni dell'Unione. Campanilismi che, ahimé, qualche volta fanno ancora presa su di me.

Eccoci dunque il pomeriggio, dopo la partenza  in mattinata da Bruxelles, a visitare maison et crayères (le cantine in gesso) di Veuve Cliquot, prestigiosa azienda, acquisita dal 1986 dal colosso del lusso Louis Vuitton, Moêt e Hennessy, ma che ha alle spalle una storia significativa. Storia che vede protagonista forse la prima importante imprenditrice al mondo, che prese le redini dell'azienda nel 1805 alla morte del marito, per farla crescere assieme ai due bracci destri, dei quali il secondo, Werle, rileverà l'attività nel 1841. Donna imprenditrice che creò la table de remuage, per effettuare a mano quell'operazione di inclinazione fondamentale per "emarginare" le fecce provenienti dall rifermentazione nel collo della bottiglia prima della sboccatura (per le varie fasi della vinificazione dello Champagne consultate la mia Introduzione al vino francese nelle slides finali). La visita guidata è stata piacevole, le cantine affascinanti, scavate  fino a 30 metri sottoterra nel gesso (craie),  che è il materiale proveniente da particolari accadimenti geologici che è stato la fortuna a livello vitivinicolo in queste terre settentrionali. Il gesso infatti ha una funzione di regolatore idrico e termico e la miscela di gesso e resti marini è un buon fattore di nutrizione per la vigna e si riflette anche nei vini.  Dopo le cantine eccoci ancora nello show room a degustare una coupe di Grande Dame 2004, ammiraglia dell'azienda: la immaginavo diversa, era forse con pressione inferiore al dovuto e scarsa di bollicine; 62 % pinot noir, 8% pinot meunier e 30%  chardonnay (i tre vitigni ammessi). Certo al naso non evocava tanto crosta di pane, ma volgeva verso il mielato e il caramellato, con tendenza addirittura ad evocare profumi del passito, con fiori gialli comunque preponderanti...la persistenza in bocca comunque lunga con note tostate e retrogusto di un "giusto" amaro. Vino complesso e di buona fattura nell'insieme, ma che francamente mi ha un po' deluso...forse le bottiglie in degustazione sono un po' delle rimanenze, la butto lì. E anche la temperatura di servizio non mi è sembrata delle migliori, forse troppo alta
 ( ricordiamo che lo Champagne si deve servire a 6-8 gradi costanti, forse 10 i millesimati, da mantenere con glacette). Il prezzo della visita è di 35 Euro per circa un'oretta e un quarto...una volta che si è deciso si deve accettare anche qualche défaillances dell'organizzazione, ma Veuve Cliquot rimane sempre Veuve Cliquot!!!


Con le "mie donne", sorseggiando la Grande Dame 2004
Deuxième jour: di stanza a Reims abbiamo potuto visitare la stupenda cattedrale gotica, il cui spettacolo di luci ci aveva affascinato già la sera precedente. Poi via a Hautvillers a visitare l'abbazia del mitico Dom Perignon, che oltre ad essere la cuvée di punta di Moêt, è la persona che ha avuto un ruolo fondamentale nella nascita dello Champagne, cosi' come lo abbiamo oggi.
La tomba di Dom Perignon nella chiesa dell'Abbazia
Infatti all'epoca dell' Abbé Cellerier il vino in Champagne era fermo e prodotto da monovitigni, ma nei viaggi in battello che doveva sopportare per il trasporto in Inghilterra, i lieviti attivavano una rifermentazione che tumultuosa com'era, faceva esplodere una gran quantità di bottiglie, per la verità di un vetro troppo fragile e con un tappo ancora in legno e poco adatto agli urti delle trasversate del tempo. Cosa fece allora Dom Perignon per risollevare i conti della sofferente Abbazia? Con una sua particolare forma di spending review decise di selezionare e mescolare dei diversi tipi di vino, inventando l'assemblage, in maniera tale da gestire in maniera adeguata e equilibrata la rifermentazione. 
Inoltre decise di passare a bottiglie ben più solide, simili alle champagnotte di oggi, e ad utilizzare il tappo di sughero, che con la sua particolare struttura espansiva , era piu' resistente alla pressione della anidride carbonica proveniente dalla rifermentazione; cosi' come fu Dom Perignon a introdurre il "muselet", la mascherina a protezione del tappo, per le medesime ragioni di comodità nel trasporto. 
Dopo avere reso omaggio alla sua tomba sita presso la  piccola chiesa dell'Abbazia, abbiamo visitato, proprio di fronte, i locali della Jean Marie Gobillards et Fils, azienda da un milione e mezzo di bottiglie con vigneti soprattutto a Hautvillers e Dizy. Sulle loro etichette campeggia la dicitura Premier Cru, il secondo gradino della piramide qualitativa prevista nel 1927, appena prima della nascita delle Denominazione d'origine avvenuta nel 1935. Ci sono 44 Comuni dei 319 che sono autorizzati in Champagne, che sono Premier Cru, mentre solo 17 possono fregiarsi della più prestigiosa dicitura  Grand Cru. Per chiudere questa parentesi sulle zone se ne possono individuare almeno cinque: la Montagna di Reims, con massima altitudine di 288 metri, con pinot noir in predilezione, fondamentale per il corpo e la struttura di questo vino capolavoro della tecnica di cantina; la Valle della Marna, che verso est si tinge dell'altro vitigno a bacca Rossa, il Pinot Meunier, che conferisce il fruttato e gli aromi; la Costa dei Bianchi, con preponderanza Chardonnay e apporto di freschezza ed eleganza, e poi la Costa di Bar e  quelladi Sezanne un po' più a sud, con vini forse meno noti che le altre zone, ma  che ci danno il vino fermo più famoso, il Rosé des Riceys, prodotto da pinot noir. Hautvillers si posiziona nella regione di Epernay,  da cui dista 6 km, a sua volta inserita nella Valle della Marna. Per arrivarci, nel bel giro in macchina fatto, abbiamo potuto ammirare lo splendido paesaggio champenois, fra sali e scendi con delle costanti assolute: vigneti a perdita d'occhio, ordine assoluto e armonia e colori indimenticabili. E' già da qualche tempo che circola un video sui siti dello Champagne del comitato promotore del Paesaggio dello Champagne come Patrimonio Unesco. 


Come poter dir no a tale candidatura, anche se a quanto sembra comporterebbe delle piccole deroghe: è forse proprio il paesaggio, ancor più del vino e della cucina che ti fa innamorare di queste terre. In questa cornice la toccante visita allo splendido cimitero monumentale dei caduti italiani della prima guerra mondiale -  i c.d "soldati operai" che contribuirono il 23-24 giugno 1918 a fermare l'avanzata delle truppe tedesche con un tributo di circa quattromila morti -  posto appena sopra la collina di Hautvillers, a Bligny,  ci ha dato modo di sentirci non troppo lontani dalla nostra penisola, almeno con il pensiero. E vi assicuro che è sempre un'emozione vedere il nostro Tricolore, volteggiare al vento in un luogo inaspettato, dopo una curva in macchina fra le colline della Marna, o ancora dipinto a terra con una sorta di mosaico.
Davanti al Cimitero Militare Italiano a Bligny

Eravamo rimasti nello show room di J.M Gobillard et Fils quindi: li' abbiamo degustato un  po' tutto, ma cio' che ci colpi' di più fu il Cuvée Brut Tradition, melange dei tre vitigni dell'annata, oltre il trenta per cento dei vini di riserva di annate precedenti, debitamente conservati a bassa temperatura ed aggiunti  per garantire l'equilibrio voluto dalla maison. Questo che è da considerarsi un vino base, per intenderci,  ci ha invece colpito per la sua freschezza e la sua persistenza, con un perlage finissimo e di una durata impressionante, oltre che per la sua fantastica fragranza al naso, che diventa assoluta freschezza in bocca. Qui lo Champagne è da aperitivo, non più miele, ma sentori citrici, grande brillantezza, frizzantezza in bocca, ma con toni comunque non spigolosi,  che vedrei benissimo in abbinamento con formaggi non troppo stagionati, ma anche con pesce alla griglia. Non è un caso che la Guida Hachette dei vini francesi per il secondo anno consecutivo lo fa comparire conferendogli una menzione per il rapporto qualità prezzo: presso l'azienda 14,50 Euro. Delizioso ci è sembrato anche il Rosato, ancora in perfetto blend fra i tre vitigni, soprattuto per la sua eleganza al palato, e per la particolarità dei sui profumi che alternano la citricità ad un ricordo di fragola e ribes molto avvincenti. Molto elegante ad un assaggio veloce anche il Blanc des Blancs, chardonnay in purezza. Ancora nella mia cantina personale una cuvée speciale in occasione del cinquantesimi anniversario dalla morte di Marylin Monroe, un assmblaggio di annate 2007 e 2008 a maggioranza Chardonnay, 55 per cento: la stilla molto fragrante ed elegante bevuta in quell'occasione è stata di buon auspicio. Aspetto conferme dalla bottiglia che in una delle mie cene proporrò al mio circolo di aficionados... (continua)

martedì 4 settembre 2012

Italian sweet and Passito wines. Moscato Passito di Pantelleria


The  intense colour of Ben Rye
Charming  wines, meditation or sipping wines, but not only this. Passito wines are increasingly gaining popularity even among non-experts. The reason is clear. The notes of their mellow flavour with the intrigue of their olfactory characteristics make them more and more popular especially among women. But what are the features of these wines? What makes them special?

Passito wines generally can not be defined as special wines, as it should not be added any substance or alcoholic spirit in the process leading to their formation. However we often have fortified dessert wines. Passito wines don't always coincide with sweet wines: Amarone della Valpolicella and Sfursat Valtellina  are big exceptions to this assertion, since they are still dry wines, while passing through the same process of winemaking.

Sweet wines are obtained by drying the grapes before fermentation in two ways: natural and forced. Passito wines belong to this second classification.

Naturally dried wines undergo an over-maturation directly on the plant, thus enriching the sugar component and concentration of the grape itself: this procedure is used for example for the Aleatico, produced in Latium region.


 The so called  MUFFATO  wines undergo the same process (above all the Muffato della Sala Antinori) being in addition attacked by "noble rot", or Botrytris Cinerea, which dehydrates the grape and brings to a considerable enrichment of its aroma. Bordeaux Sauternes, the Hungarians Tokaji Aszu and German TBAs undergo the same process,  to quote only the prominent ones.

Antinori's Muffato della Sala
 Picolit Friulano instead arises from a floral abortion affecting the plant which is harvested late. This abortion brings to a reduction of berries on the plant in relation of 30 to 5, compared to its previous state, and thus originating an increase of the remaining component of sugar in the grapes.
The ice wines from Germany, Austria and Canada are called so because the harvest is done very late, almost in winter, often at night and with a halo of ice surrounding the berries,  which subsequently will contain a reduced amount of water, and a concentrated rate of sugars.

Many dessert wines instead come from a forced drying, after the harvest, putting the grapes under the sun or on small mats of wood and hemp, sometimes ventilated and kept at a certain temperature indoors.

Greco di Bianco,
sweet Calabrian wine,  is processed in the former way, as well as the Passito of Pantelleria, with its grapes drying on racks under the burning sun of Sicily.

 In accordance with the latter method, the grapes are dried on mats for some time (for Vin Santo until the Holy Week) and then they are pressed and aged, with a process of maturation of the wine that can range from two to eight years. This way you will have Recioto di Soave, Malvasia delle Lipari Passito, Caluso Passito, Vin Santo Toscano and from Trentino, Friuli Ramandolo and other stirring wines.
Vineyards of Zibib in Pantelleria














Passito di Pantelleria: Wine of the Wind and the Sun is produced in our "African" island, situated 83 kms from the coast of Tunisia in low vines of Muscat of Alexandria (Egypt) or Zibibbo, bush-trained in small holes on terraces overlooking the sea, sheltered from the wind that blows from the Sahara by stone walls. Called "nectar of the Gods", the Zibib must (Zibib   standing for the Arabic  term for "raisins"), produced from grapes originally  imported  from Arabs or Phoenicians, is supposed to be  the drink with which Tanit, the goddess to whom Pantelleria in antiquity was consecrated, seduced  Apollo, by purporting it for Ambrosia. Even today this drink has kept these fabulous features and it is charming as it was in the mythology.     

Donnafugata Muscat Passito Ben Rye (i.e. Son of the Wind in Arabic, like the athlete Carl Lewis!),  produced in a "subsidiary" of the famous  winery owned by the Rallo brothers having its headquarter in Marsala, is constantly considered by specialised press as the best Italian passito. It has a yellow amber and topaz colour, varied and intense nose, recalling candied notes of peach jam, apricot,  orange and figs, as well as fine caramel that melts in the mouth with great delicacy and smoothness. It absolutely doesn't disappoint the palate after the explosion  of a wide range of perfumes already shown in the nose. Sipping wine, it is usually coupled with biscuits (or dried pastries), but gives its best  accompanying  the local "ricotta" or blue cheeses such as Gorgonzola, Stilton or Rochefort. Preferably it is served in tulip-shaped glass of average size at 14 °. 
Depardieu and Bouquet's Sangue d'Oro
Other important passito producers are Salvatore Murana, with two amazing wines, called Khamma and Burdingana, nearly at the same level of Donnafugata; Miceli, with Nun and Entelechia above all and Marco De Bartoli with his mellow and tasty Bukkuram. Last but not least, we have to mention another famous actor who took up the wine art: we are talking about Gerard Depardieu, who bought, along with his companion, Carole Bouquet, 8 hectares of land in the island and resumed the activity of a disused farm, by producing oil and a gentle and delicious Passito called Sangue d’Oro (golden blood). It is not the first experience as a vigneron for Depardieu. He owns  since the 80s as well 35 hectares in the Anjou  (Vallée de la Loire) producing above all good rosés from an extraordinary grape, Cabernet Franc. He was told able to recognize and distinguish the smell and flavour of a Cabernet Franc from Anjou, from one from Touraine: his “important” nose won’t never betray him!!!

Le vigneron Gérard Depardieu in Pantelleria
Grecale Cantine Florio is recommendable  as a good alternative and excellent value for money. It is  a fortified muscat available in lots of supermarkets, produced with the addition of wine distillate during the fermentation. It can already offer  an idea, cheep as it is,  of the characteristics of the wines of that sunny and delicious land, more and more goal to loads of chunks and normal tourists as not only a beautiful island, but also for the extraordinary reputation of its products and cuisine.

Give Passito a shot then and you surely  won’t regret!!!

giovedì 28 giugno 2012

Marche: non solo Verdicchio e Conero. Viaggio tra i vini del Piceno



Un'immagine di Arquata del Tronto

E già ...più che una scoperta sono stati una bella conferma i vini del Piceno, che conoscevo già, ma che ho debitamente  avuto modo di "approfondire" nella breve, ma intensa vacanza di sole, vino, buona cucina,  mare, sport e famiglia a San Benedetto del Tronto in un assolato inizio giugno, in cui, come faccio di solito nei miei prolungati soggiorni estivi, ho bevuto solo ed esclusivamente  vini locali.

Devo dire che non avevo mai fatto il tratto di Salaria che va da Posta e Borbona, dopo le splendide Gole di Antrodoco che videro le prime battaglie risorgimentali, ad Ascoli e che poi giunge, con un piccolo tratto di autostrada, sulla costa adriatica ed invece si è rivelato un viaggio denso di bei panorami e di luoghi di ispirazione eno-gastronomica. Quando lavoravo a Cascia arrivavo in macchina fino al km 120 sotto Cittareale, da dove risalivo gli Appennini per poi ridiscendere, dopo il valico di Civita, verso la cittadina di Santa Rita, a cui sono tuttora molto affezionato . Ed invece subito dopo qualche chilometro luoghi sacri al godimento si offrono alla vista, quali Amatrice, patria dello spaghetto all'amatriciana che rappresenta in senso lato un'icona della cucina romana, e poi superato dall'alto  lo splendido Lago di Scandarello circondato dal verde,  si giunge a quel confine fra Lazio e Marche fra Accumoli e Arquata del Tronto, che solo da poco avevo scoperto che esistesse: solo una decina di chilometri di confine, e proprio lì, in quel di Borgo di Arquata,  si incontra quel  fiume Tronto che caratterizza il sali e scendi fra valli e cavalcavia della Salaria fino ad Ascoli Piceno e che, spesso in secca per presumibili canalizzazioni idrauliche, ci accompagnerà fino al mare.
Giunti appunto ad Arquata, ho notato, prima di Acquasanta Picena,  un cartello che mi ha lasciato perplesso: metteva ¨Pescara". Mi sono detto: "Tutt'al più puo' essere L'Aquila!"...e invece ho scoperto che quel Pescara è un'altra frazione di Arquata, non posta sulle rive del fiume tanto caro a D'Annunzio, ma indicante  in origine il tratto del fiume Tronto in cui si poteva pescare. Perché menziono questa frazione cosi' caldamente? Perché proprio li' nel settembre del 1982 il compianto Guido Cocci Grifoni, seguendo delle indicazioni provenienti da ricerche bibliografiche  compiute assieme ad altri produttori, è andato a scovare, dall'ultimo vignaiolo che lo coltivava  sopra i 1000 metri di quota (Cafini il suo nome), un  vitigno rigorosamente autoctono che veniva  già  allevato verso gli anni settanta del secolo precedente verso Ancona, il Vitigno delle Pecore, il cui vino veniva usato spesso dai pastori locali al posto del rosso, proprio per la sua robustezza, durante i periodi delle transumanze. Si', stiamo parlando del Pecorino e pensate che dopo le sperimentazioni del febbraio successivo, per cui si stabili' che i vigneti davano il loro meglio se esposti a nord e dopo la confezione delle barbatelle da parte di una ditta friulana, il primo vino lo si ottenne  solo nel 1990. Da questa intuizione praticamente si fece la fortuna di quella zona, e di Offida in particolare, che dopo la IGT, ricevette la DOC solo nel 2001, per terminar il proprio percorso a giugno del 2011, con il riconoscimento della DOCG, per l'Offida Pecorino, l'Offida Passerina per i bianchi e per il Rosso, composto principalmente da Montepulciano (ricordiamo che le Colline Teramane dei grandi vini abruzzesi sono li' a due passi) e Cabernet Sauvignon per un 30 %.
Il Pecorino o " Rosso vestito di bianco", come lo definiva il suo ri-scopritore, vino piuttosto trendy anche in enoteche della capitale,  deve la sua struttura al clima tipico di quella zona, a quel 43esimo parallelo "mediterreaneo" che caratterizza il clima marino della costa adriatica e alle escursioni termiche data dall'influenza dei Monti Sibillini e della Laga, che ne fanno territorio crocevia di ben due Parchi Nazionali. Quindi alto coefficiente saccarino e gradazione alcoolica di minimo 13.5 gradi, grande spalla acida e grande estratto secco a sottolinearne la sua struttura che gli conferisce un' ottima longevità, per cui lo si puo' bere anche di due anni precedenti con molta tranquillità, senza avere il rischio di trovarlo svanito (e su questo abbiamo avuto un dibattito con l'amico Roberto Scalacci, direttore CIA di Bruxelles, che invece preferisce i monovitgni bianchi bevuti solo nell'annata precedente, perché mantengono più intatte le proprie caratteristiche) .
In dieci giorni, anche grazie alle visite ricevute e alle uscite in ristorante, sono riuscito a bere quattro o cinque diversi tipi di Pecorino di alcune delle cantine piu' importanti della zona, e devo dire che già solo nella grande distribuzione, si ha a disposizione un'ampia gamma di scelta cui francamente non ero abituato. Abbiamo tributato il giusto onore al vino "ammiraglio" della Cocci Grifoni, il Pecorino di Offida Podere Colle Vecchio,  cinque grappoli Duemilavini 2012, vino dell'eccellenza quindi e che si riesce a comprare anche a 11,00 Euro, cosa anche questa a cui non sono piu' abituato da quando sono in Belgio: questo vino e' davvero magnifico, con uno spettro olfattivo ampio e complesso, con camomilla e ginestra coniugati ad una sapidità/aromaticità che mi ricordava la salvia,  e note di pesca giallona abbastanza insistenti, volgenti al melone nei vini di annate precedenti.  In bocca è quel vino avvolgente,  caldo, morbido e sapido che aspettiamo preannunciato dalla sua intensità olfattiva. Cio' che colpisce è la persistenza in bocca, con toni  al tempo stesso sapidi  e mielati che danno sollievo alle nostre papille gustative. Cosi' strutturato puo' bene abbinarsi con pesce, come noi abbiamo fatto, grigliato e adeguatamene condito, o anche con una fritturina saporita,  altrimenti sovrasta il cibo. Non è nemmeno cosi' scandaloso associarlo con salumi strutturati e formaggi saporiti, rigorosamente locali, magari per un aperitvo sostanzioso.
Gli altri pecorino che ci hanno positivamente  colpito sono il De Angelis, ben strutturato ed equilibrato,  dove le note agrumate emergono con chiarezza assieme ad una  sapidità ben articolata e ad una freschezza ben congegnata; il Merlettaie Ciu' Ciu', azienda di Offida molto nota nel Norcino, che forse è già un po' diverso per quei sei mesi in rovere che gli conferiscono una nota vanigliata oltre a quella tipica sapida e con sentori di fieno, comune ad altri. Il Cherri Altissimo, per contro, non ha trovato le preferenze della mia compagna, perché volge verso un retrogusto di mandorla, che spesso non trova proseliti, e che comporta altresi' che la sensazione di pseudocalore alcolico sia piu' avvertita che in altri vini, non passando  inosservati quegli avvolgenti quattordici gradi : è un vino diverso ma egualmente apprezzabile, forse per palati meno "femminili".
I vigneti Cherri ad Acquaviva
Altro bianco che abbiamo provato è la Passerina, vitigno anch'esso tipicamente adriatico che a torto si accomunava in precedenza al Bombino Bianco, forse perché anche'esso veniva chiamato Pagadebiti come il Bombino in Romagna,  perché  dava rese buone con le quali spesso i viticoltori compensavano annate poco buone. Vitigno della famiglia dei trebbiani teramani il suo nome piuttosto "ambiguo" sembra derivare dalla struttura del grappolo, esiguo, alato  e con acini sferici di colore giallo intenso, che ricorda un piccolo passero.
 Viene vinificato sia secco che rifermentato per dare un fresco spumante (da provare), dà vini meno strutturati che  il Pecorino, più leggeri e meno complessi che ben si abbinano ad aperitivi o a piatti di pesce non troppo sostanziosi. Altre versioni sono quelle teramane e quella del frusinate di produttori del Piglio, quali ad esempio Giovanni Terenzi, parimenti gradevole e quella del nostro amico di Palestrina Benedetto Lombardi, anch'essa molto "aperitivista".
Abbiamo asaggiato la Passerina  IGT di Velenosi, azienda da un milione e mezzo di bottiglie l'anno di Ascoli,  dal colore ancora tendente al verdolino e molto fresca e fruttata di pesca, e quella di Cherri, la Radiosa, Offida Passerina DOCG, in purezza e piu' corposa dell'altra per via di una criomacerazione  di 24 ore che fa passare piu' estratto dalle bucce, dalle fragranze di pesca molto intense, con una persistenza gusto ofattiva anch'essa ragguardevole, ma non comparabile a quella del pecorino.
E ancora per i Bianchi l'assaggio si è spostato sul Falerio dei Colli ascolani DOC della Cocci Grifoni, da Ripatransone: leggero, 12 gradi, composto di un uvaggio fra Pecorino, Passerina e Trebbiano Toscano, dal colore ancora tendente al verde, all'olfatto ricorda fiori bianchi e gialli e aromi varietali dei componenti il blend, mentre in bocca colpisce per un retrogusto ammandorlato, che ancora una volta non ha trovato i favori di Doretta. La freschezza è comunque predominante e lo rende molto estivo. 
Per i rossi ci siamo concentrati soprattutto sul Rosso Piceno, assaggiandone tre esempi. Ricordando che il rosso piceno è dato da un uvaggio variabile fra montepulciano e sangiovese,  abbiamo provato il Cherri da Acquaviva Picena, che matura in acciaio 9 mesi e ne fa altri 6 di bottiglia prima di essere messo in commercio. Vino corposo di 14 gradi, forse un po' etereo, dove le visciole emergono chiare all'olfatto, con note anche di caffè che ricordiamo bene, il rosso piceno è un vino invernale, ma se abbinato a dei piatti strutturati può dire la sua anche nella canicola estiva. Come la dice anche il Carminucci Naumachos 2008, di Grottammare, un po' più a nord, vista la maggiore ampiezza della DOC, che nella tipologia "superiore", ci ha particolarmente colpito: di un rubino quasi nero, il vino ha uno spettro olfattivo di frutta rossa e di terziario dovuto al suo invecchiamento di un anno in botti di rovere francese, specie di liquirizia, ed è un vino morbido nella sua consistenza, quasi da masticare ed è dotato di una persistenza aromatica moto lunga. La stessa che ritroviamo nel Ciù Ciù Gotico 2008, anch'esso  di tipologia superiore, maturo, morbido e con chiaro sentore di tostato, caldo con i sui 14.5 gradi,  e di una buona persistenza. Vini da piatti strutturati e succulenti, che mi hanno colpito per la loro gentilezza , nonostante i muscoli.
Un'immagine del Ristorante Puerto Baloo
Così come mi ha sorpreso un vino Cabernet della azienda agricola Malavolta di Montefiore dell'Aso, l'altro fiume della zona, cabernet con piccola percentuale di merlot,  quasi uno sciroppo con chiari sentori di amarena e speziature varietali di peperone verde mai esagerate e piccoli accenni di vaniglia, e che in bocca è di una lunghezza abbastanza rilevante, con una piacevole sensazione quasi dolce al palato.


Questo vino lo ho acquistato in uno dei punti vendita, molto ben organizzati  della cooperativa Agri-Service a San Benedetto del Tronto, dove possono essere degustate e acquistate delle vere e proprie delizie di una cooperativa di piccoli produttori del Piceno-Teramano: su tutti dei splendidi pecorini di media stagionatura e un salame di vitello, magro e saporito che consiglierei di reperire. Se vi capita di andare da quelle parti sappiate che sono attrezzati anche per visite presso le fattorie, anche per bambini.
E per due volte, in una cornice splendida con vista sul tramonto sul mare abbiamo cenato, per la prima volta in terra italica  con Roberto Scalacci e consorti, su sua indicazione nel ristorante Puerto Baloo, dentro il porto di San Benedetto. Ottima cucina di pesce, ottimi vini da abbinare, già citati, e buon servizio,  interminabili antipasti di pesce, fra cui spiccano i cartocci di spigola e ricciola, e le seppie in umido di patate, veramente memorabili, così come le tagliatelle allo scoglio,  e le fritturine come secondo piatto, con pesce fresco, digeribile e di qualità.