lunedì 11 febbraio 2013

Una serata dall'Oste della Bon'Ora - Cucina romana "revisited" - tra tradizione e innovazione nel solco di "Gino"

L'Oste della Bon'Ora, in versione meditabonda
21 dicembre 2012. ore 20.30. Atterraggio a Ciampino. Il mio fraterno amico Marco "Il Maestro", cui oramai calza bene quel soprannome che gli diedi per altre ragioni una ventina di anni fa, per via di una naturale pacatezza e sobrietà che ispira una rassicurante fiducia, mi attende all'aeroporto.
Prendiamo il Raccordo e gli propongo " Maé', perché non andiamo dall'Oste?"..."Mi risponde:
"Guarda, dovrei avere anche il telefono a portata di click!!", la risposta di chi forse se lo aspettava  un invito del genere dall'amico "gourmando". Chiamiamo alle 9 e ci dirigiamo a Grottaferrata. Due minuti dopo aver superato il mitico ristorante Squarciarelli che il grande Renato Rascel rese immortale in una strofa di Arrivederci Roma, arriviamo verso le nove e mezza nella dimora dell'Oste della Bon'Ora.
L'accoglienza è classica, per chi conosce il locale: in sottofondo, con l'inconfondibile vinile su piatto Technics, Lying Eyes di Don Henley e degli Eagles, tratto dal Best hits di cui a fine anni ottanta comprai la cassetta, consumata a forza di ascoltarla e  poi cantarla (Hotel California è sempre il mio cavallo di battaglia quando imbraccio la chitarra!!). Altre volte sono entrato con Child in time dei Deep Purple o Whole Lotta Love  dei Led Zeppelin, sempre rigorosamente in vinile: mica male per una patito del pop- rock anni 70 come me!.
Gli Eagles negli anni 70
Appena entrati ci accoglie l'Oste, Massimo Pulicati, con la sua caratteristica tenuta: calzoni variopinti fiammeggianti rossi e neri che fanno da pendant con delle scarpe di colori sgargianti ed un lungo  pizzo settecentesco, forse un po' ingrigito dal passare inesorabile del tempo, ma che già ci danno un'idea di quanto sia vulcanico il personaggio. Mi dice: "Ma dov'è che stai che non passi più? " Ci si aggiorna e ci conduce nella saletta con il camino elegantemente arredata dove ci sono altre tre persone...risuona "Take it to the Limit" con i vari acuti del grande Don e la serata puo' anche cominciare.
Cosi'  Massimo, che è un vero oste nel senso etimologico del termine, ci accoglie e ci intrattiene sedendosi con noi a tavola, parlandoci con quella sua caratteristica animosità della difficile situazione economica dell'Italia, della difficoltà per i ristoranti di tenersi a galla puntando sulla qualità e di altre cose interessanti.
Intanto, accettando di farsi due chacchiere sulla storia del locale, dice a Marisa, sua moglie , la cuoca,  di prepararci una Polentina con spuntature e pecorino come antipasto, vellutata, forte e deliziosa. L'abbinamento del vino lo fa Massimo e ci porta un Argiano Rosso di Montalcino del 2006, per me logicamente un fuori carta, che porta i suoi anni con una certa gagliardia, nobile tannino e  intatta morbida "sangiovesità" con quella viola che al secondo naso riusciva ancora a dare delle buone bordate ed un balsamico ben bilanciato (e suona l'aria morbida di Peaceful Easy Feeling, molto evocativa!).

Il logo dell'Oste della Bon'Ora, da un disegno di Pablo Echaurren

Ci parla quindi di come comincio' ad interessarsi di cucina e del fatto che nel 1985 decise di dedicarvisi a tempo pieno, all'epoca agente penitenziario, e creare qualcosa assieme a sua moglie Maria Luisa (Zaia), raccontando del fatto che all'inizio l'Oste, rigorosamente in terza persona, era si' "un commerciante", ma anche un "sognatore", attributo che non disdegna neanche oggi che è un affermato gourmet, per sostenere sempre "l'idea che essere onesto  è sufficiente a vivere una vita dignitosa". All'inizio proponeva la cucina vegetariana con menu "ayurvedici e biologici" e percorsi yoga  su Roma, poi ha proseguito scegliendo  cucina romana in altri luoghi, fra cui Zagarolo ed ancora Roma, poi Grottaferrata. Ci dice di aver scelto la cucina romana proprio perché crogiolo di molte culture, essendo Roma crocevia di varie tradizioni e popolazioni e che quindi per forza di cose lascia più spazio alla creatività, per uno come lui avvezzo a discettare di gastronomia con radici scientifiche e dottrinarie ( questa la sezione nel sito), che lo portano a "contaminare"  la romanità con innovazioni o incursioni di altre culture enogastronomiche (la francese soprattutto). La cucina romana è quella del quartiere Monti, quella Testaccina e ancora quella di Trastevere, " un po' ebrea"; la cucina di ogni quartiere, che è un po' una cucina che racchiude tutta l'Italia, viste le molteplici ondate di immigrazione da nord a sud dello Stivale verso la Capitale.  E quindi  con queste "ingerenze" dalla cucina tradizionale sono arrivati "nuovi rivoli e nuovi risvolti" che contribuiscono a darci  "un sapore antico in un piatto moderno". Ed intanto ci vengono serviti gli strozzapreti all'amatriciana in cornucopia di pecorino, un classico dell'Oste, al palato una delizia, con una cremosità ancor più evidente data dalla pasta fatta a mano.

L'indimenticat-o/-abile Luigi Veronelli

L'abbinamento con il rosso di Montalcino tiene bene...e noi veniamo al nucleo del discorso, all'esperienza del ristorante l'Oste della Bon'Ora e di come l'incontro con Luigi "Gino" Veronelli, sia stato fondamentale per continuare a credere e a proporre buona cucina. Tutto cio' molto similmente a  quello che il gourmet meneghino, editore e padre putativo dell'enogastronomia italiana, è stato per altri chef del calibro di Fulvio Pierangelini, Moreno Cedroni e Don Alfonso Iaccarino. Sciorina l'annedoto, Lui che spesso ama digredire in racconti conditi di un po' di fantasia,  per il quale si decise a chiamare  al telefono "Gino" a metà anni  novanta, dopo che nella trattoria romana che gestiva all'epoca erano arrivati dei rappresentanti chiedendo se avesse bisogno di chardonnay o sauvignon. A tal domanda rispose " Io 'ste ditte non le tratto", suscitando una certa ilarità negli interlocutori. Da qui la decisione di chiamare Veronelli e di presentarsi così : "Io so'n'amico di Carnacina (famoso gastronomo capitolino che con Veronelli ha collaborato a lungo) e so' romano come Lui". Comincio' da quest'episodio un proficuo sodalizio che lo ha portato ad abbracciare la sua filosofia e,  come vedremo, molti dei  suoi  concetti del progetto Terra e Libertà, Critical Wine e che da ultimo,  il 3 e il 4 febbraio scorsi, in uno dei suoi molteplici eventi che conferiscono al locale una portata di vero e proprio circolo eno-gastro-culturale, lo ha portato a presentare, a dieci anni dalla sua scomparsa, un libro sulla sua vita e le sue idee, "Luigi Veronelli. La vita è troppo corta per bere vini cattivi", scritta da Gian Arturo Rota e Nichi Stefi, Giunti Editore. 
Ci racconta che fu proprio Veronelli che gli fece fare amicizia in tempi non sospetti con Pablo Echaurren, artista romano,  figlio del "Dalì Cileno", il surrealista Sebastian Matta. Echaurren  fu poi consultato per la scelta del nuovo  logo da dare al ristorante nel giugno 2004, quando appunto "l'oste in cerca d'autore, finalmente lo trovo'",  come secondo ristorante su Roma ad ispirarsi ai principî del già citato progetto Critical Wine. Quel Pablo Echaurren con cui Sua Nasità (per dirla con Gianni Mura) collaboro' in articoli della rivista Carta nella famosa rubrica "Le parole della Terra" attraverso dei dialoghi ufficiali, che niente hanno a che fare con questo scambio di e-mail sull'Oste , reperito sul sito,  che testimonia di un legame forte fra i tre ancor prima della consacrazione del ristorante alla filosofia del buon gusto. Il logo dell'Oste della Bon'Ora è simpatico e caratteristico,  in un "tintinnio cromatico" che certo ben si distanza dall'idea evocata dalla frase tradizionale da cui trae spunto, e sulla quale giocano altri famosi ristoranti.

Il Mito Paul Bocuse, classe 1926
Argiano is over: eccoti Massimo che porta un bicchiere di Barbera d'Alba Gianfranco Bovio Il Ciotto del 2008,  di tutto rispetto, potente e strutturato con i suoi 14 gradi, con note di frutta matura e un piacevole tostato, ma sempre di straordinaria bevibilità e di semplice lettura. Questo vino in abbinamento al secondo piatto, vale a dire ai petti d'anatra ai fichi e alle cipolle, con radici nella Roma imperiale di Apicio, come indicato dalla chef Marisa. Massimo ce ne dà anche una lettura storica, riferendoci del fatto che la cipolla era molto utilizzata in quella zona per via della presenza di un "antico cipollaro", molto esteso attorno alle mura francesi da Ciampino a Castel Gandolfo. L'ardito accostamento fichi, che in Roma antica erano sinonimo di cibo chic, e cipolle, stempera un po' la grassezza e forse la durezza del petto d'anatra. Brandy e cremina,  poi, sono il giusto tributo ad una francofilia che assolutamente non dispiace a Massimo e Marisa. Da qui una discussione, piuttosto partecipata anche da me,  sul fatto che il livello medio dei vini e della cucina in Francia è più alto e che  in Italia, culturalmente, si potrebbe fare di più " In Francia hanno una cucina di serie A e una cultura enogastronomica di serie A...noi la cucina ce l'abbiamo in serie A, ma la cultura media forse è  ancora di serie B, per essere buoni". E il paradosso - continua- sta del fatto che invece abbiamo nel nostro paese picchi assoluti di eccellenza nella cucina, citando il quinto gusto e Massimo Bottura quale uno dei suoi massimi propugnatori, o facendo accenno all'aneddoto di un Gualtiero Marchesi alle prime armi che Paul Bocuse, mostro sacro della cucina lyonnaise e  francese, in una specie di esame-degustazione per giovani cuochi, avvicino' sussurrandogli: " Tu hai già capito tutto!!".
Qui mi piace soffermarmi  un attimo su concetti chiave per l'Oste, ripresi dal progetto veronelliano,  che risuonano  nel suo appassionato modo di fare cucina  in quell'"Osteria comoda, fatta di piatti romani ben fatti, di un ambiente comodo con sottofondo di buona musica, con un prezzo che rispetti le esigenze del cliente". In primis la tracciabilità dei prodotti (origine e trasformazione), il loro legame con il territorio, la loro qualità,  che l'Anarchenologo reputava fondamentale: ecco, sul sito, la lista dei fornitori, la catena del prodotto svelata, anche per il vino a marchio Oste, che lo stesso fa in bianco e rosso in collaborazione con l'azienda Casale Certosa di Santa Palomba a Pavona. Un legame territoriale che non deve mai scivolare in un localismo identitario e deve giustamente coniugarsi e confrontarsi con una dirompente globalizzazione, ma mai cedendo il passo.
C'è poi il concetto di "prezzo sorgente", che  porta ad avere una carta dei vini con il costo ed il ricarico, a sottolineare che si puo' essere onesti nei ricarichi se non ci si fa troppo abbindolare dai distributori concentratori di ricchezza.  Carta dei vini ancora più preziosa da un buon parco vini francesi, a sottolineare la contaminazione transalpina ispirata sempre al ben vivre.

La Crema Maria Luisa

Ed ancora, le carte per vegetariani, celiaci e vegani testimoniano di questa attenzione per i clienti che rimane  un must del credo veronelliano. Ed è qui l'alto punto distintivo dell'Oste, quello di non cedere al solo dettame del mercato per presentare un progetto che possa vivere di luce propria e che possa sul cammino incontrare aderenti, attraverso un'incessante attività, che va da eventi a tema, a corsi di cucina a degustazioni varie, che ne fanno un volano propulsivo di cultura enogastronomica. In questo Massimo mi trova sempre d'accordo.

Nel frattempo abbiamo il tempo di degustare la golosa Crema Maria Luisa, fatta semplicemente con uova, latte, farina, vaniglia e che è di una morbidezza al palato molto aggraziata e che secondo me trova un buonissimo abbinamento regionale con lo Stillato, Malvasia Puntinata del Lazio Passito del Principe Pallavicini di Colonna, una decina di chilometri da li' (la crema tradisce si' inflessioni angliche, ma Maria Luisa è sicuramente laziale!!). Gli chiedo poi  di Marco e Flavio, i suoi figli e con una punta di orgoglio Massimo mi dice che Marco è laureato in Enologia e Scienze Gastronomiche, mentre Flavio dopo l'alberghiero sta laureandosi al DAMS, Cinema e spettacolo. Si occupano della parte eventi e corsi della "maison" e già sono assolutamente coessenziali al progetto. In ultimo vorrei solo menzionare che il  blasone di cui gode l'Oste nella capitale è ulteriormente aumentato dopo i  44 giorni passati all'Eataly di Oscar Farinetti, patron di Uni-Euro e imprenditore torinese di successo,  a Roma Ostiense, con pienoni garantiti ogni sera dal connubio Marisa- Massimo.
Concludendo:  è sempre un'esperienza passare una serata dall'Oste, specie se si è un'apprendista gourmet, proprio perché la semplicità di Massimo, la sua professionalità, passione  e cultura, unite alla maestria e alle doti in cucina  di Maria Luisa, fanno in modo che al rientro ci si senta più ricchi dentro, e contenti di aver speso una somma che in rapporto a quanto ricevuto, è sempre esigua (in genere sempre sotto i 50 euro, compresi i vini). Dimenticavo: complimenti vivissimi per il sito, fonte di numerose informazioni e ben congegnato per un'idea quasi "interattiva" di ristorazione.

L'Oste della Bon'Ora
Via Cavalieri di Vittorio Veneto, 133
00046 Grottaferrata
RM

Telefono
06.9413778
Cellulare
339.2325158
mailto: loste@lostedellabonora.it

http://www.lostedellabonora.com/