venerdì 26 aprile 2013

Il mio Vinitaly – Part I – Da Cori alla Tenuta Colfiorito (Colle Cocciano) – Visita allo stand del Lazio

A Verona, davanti allo stand del Lazio

Anche quest'anno ho ceduto alla tentazione di partecipare alla kermesse sul vino più importante d'Italia e ho calcato ancora una volta i padiglioni della Fiera di Verona per visitare il Vinitaly, il 7 e l'8 aprile scorsi, con seconda giornata accompagnato al solito da Doretta e la piccola Benedetta (nemmeno due anni e già due Vinitaly all'attivo). Un mondo in salute quello del vino, se è vero che il numero di visitatori è aumentato del 6 % rispetto all'anno precedente ed il fatturato sembra risentire meno della crisi, resistendo almeno grazie all'export alle bordate di una strisciante ed insistente recessione.

Il 5 Grappoli 2013, Capolemole Bianco di Cori
di Marco Carpineti

Ho fatto i miei classici tour soffermandomi con piacere negli stand della mia regione, piuttosto scarni come veste a dire il vero per "presumibile" mancanza di supporti regionali. Ho avuto modo di trattenermi a bere l'"opera omnia" di una delle prime cantine laziali ad usare il biologico,  certificata dal lontano 1994, quella di  Marco Carpineti di Cori, di cui ho riassaggiato, (ne sono da tempo un estimatore), voluttuosamente  tutti i vini serviti da sua figlia, già competente e preparata, trovandoli veramente un inno alla territorialità. Questo grazie alle grandi espressioni di vitigni tipici quali il bellone bianco e la malvasia puntinata del Lazio (che arrivano a livelli fantastici nel Capolemole bianco, non per niente 5 grappoli AIS 2013), l'arciprete in versione dolce (ottimo il Ludum), e il nero buono di Cori, che raggiunge il massimo nel Dithyrambus e nel Capolemole rosso, in uvaggio con montepulciano e cesanese. Sorprendentemente all'altezza anche il metodo classico brut da bellone, con una persistenza e freschezza in bocca davvero "remarquables", e ottimo anche il moro bianco da uve greco bianco, nelle versioni dei due cloni greco moro e giallo. I Capolemole sono DOC Cori, mentre gli altri citati sono degli IGT Lazio. Davvero interessante questa azienda da 41 ettari di vigneto e 12 di uliveto.
Galleria
Una vista dall'alto della tenuta Colfiorito, a Castel Madama,
in Provincia di Roma
A pochi metri dallo stand di Carpineti mi sembrava di vedere un'immagine familiare…ed infatti lo era. Si trattava proprio della villa di Colle Cocciano, località nota, per chi è cresciuto come me a Castel Madama, a 7 km da Tivoli e 37 km da Roma,  come appannaggio dei vecchi "signori" del paese e  da sempre, forse per pregiudizio collettivo, avvolta in quell'aria di irrangiungibilità, che invece, come vedremo, è stata scalfita dal cordiale  dialogo con gli odierni proprietari.
L'imperatore Nerva
Stiamo proprio parlando di quel Colle Cocciano, residenza borghese costruita sui resti della villa romana della gens Cocceia, che abitava i miei luoghi natii  circa duemila anni orsono e che espresse dai suoi ranghi anche l'Imperatore Nerva dal 96 al 98 dopo Cristo. Quella villa che ciascuno puo' vedere salendo l'ultima ascesa prima di arrivare al primo colle su cui si estende la parte nuova di  Castel Madama; quella villa dove tutti nel mio paese sono stati  almeno una volta per un matrimonio o una festa, ma che non tutti, sfido, sanno essere un' azienda agricola, la Tenuta Colfiorito, nonché agriturismo che produce non solo olio, come da tutti intuito in paese, ma anche del buon vino.
Sorpreso da questo fatto anch' io, subito mi sono diretto verso  la persona distinta che era al banco d'assaggio, chiedendogli di versare un rosso anche se erano le 9.30 di mattina del giorno d'apertura del Vinitaly (forse mi ispirava di più la bottiglia). Mio cugino Antonio Rocchi, che accompagno spesso negli stand in queste occasioni, alla ricerca di novità da proporre al mercato belga, mi presenta come persona di Castel Madama a chi mi versa il vino, che scopro trattarsi del "famoso" (almeno in paese) Notaio Giuseppe Ramondelli, professionista  romano di origini abruzzesi della Valle del Sangro, proprietario del podere. 

Un'immagine dal web del notaio Ramondelli


Mi parla, assieme a sua moglie (che nel frattempo mi fa assaggiare pane e olio extravergine a predominante cultivar "montanese" o montonese come si dice in paese ed altri battuti di olive prodotti in collaborazione con un'altra importante azienda locale, Ficacci) di come la villa nei secoli sia stata ora un convento, ora una casa colonica, ora  nell'800  addirittura un essiccatoio per le piantagioni di tabacco, una delle diverse colture cui il podere era sottoposto, seguendo una certa rotazione. Dei 35 ettari del podere 22 sono oggi coltivati ad uliveto, che dà circa 60 ettolitri di olio annui,  6 a vigneto e 6 ettari sono di giardino. Lo stesso notaio mi comincia a parlare della storia della Tenuta, di come un suo zio, Vincenzo Colapietro, notaio anche lui, nel 1958 acquistò i 35 ettari del podere di Villa Cocceia dalla famiglia Fraschetti e di come Lui stesso la ricevette in eredità assieme ad altri eredi, prima di riacquistarla per intero il 1 gennaio 2001. Il notaio continua raccontandomi di "averci messo la sua esistenza", investendo circa 2,5 milioni di euro in dodici anni nell'impresa di costruire quest'azienda agricola, certificata anch'essa biologica e con un piccolo frantoio interno anch'esso certificato.  La "parola d'ordine è la qualità", lo scopo è combinare l'antico della villa con la modernità della produzione ed in effetti le cantine incarnano questi due aspetti: sono le stesse di un secolo fa, ma riequipaggiate con prodotti tecnici d'avanguardia. Discutendo un po' su come si fosse trovato con i cittadini di Castel Madama, il notaio spende qualche amara considerazione su come purtroppo non abbia saputo cosi' coinvolgere la popolazione nella conduzione dell'azienda e l'amministrazione locale nella opportunità di intraprendere iniziative congiunte, specie riguardanti la possibilità di avere una DOP per l'olio o per il vino, una Terre Tiburtine che darebbe maggiore tutela e blasone ad una serie di prodotti e produttori (sembra che il procedimento iniziato nel 2005 con proposta pubblicata in G.U. 178 per il solo olio, si sia arenato in fase abbastanza avanzata, anche per mancanza di appoggio politico). 
Su questo aspetto mi trova in sintonia perché da tempo insisto sul fatto che ogni amministrazione della nostra zona dovrebbe mettere più impegno affinché il nostro territorio possa ottenere un riconoscimento e una caratterizzazione a livello eno-gastronomico.  Proseguendo,  gli ricordo che per chi viene "da fuori" non è semplice accattivarsi le simpatie dei "castellani", che purtroppo più di qualche volta si chiudono a riccio con chi anche potenzialmente possa mettere a rischio la "primazia della castellanità". Gli ripeto che in molte realtà di provincia è cosi e forse nel Lazio questo fenomeno si sente ancora di più, perché si cerca in ogni modo di non farsi "inghiottire" totalmente dalla tentacolare metropoli capitolina e dalle sue espressioni, anche le più  positive e borghesi.
Da 7 anni ha preso forma l'idea della produzione di vino, con un  impianto di ulteriori 3,5 ettari in una parte del podere esposta verso sud. Oltre alle precedenti coltivazioni di Malvasia puntinata del Lazio, Greco(hetto) e di Cesanese, sono stati aggiunti Incrocio Manzoni (riesling-pinot bianco) Pecorino, Montepulciano e Sangiovese. L'enologo che si è occupato del nuovo impianto e dei vini prodotti, e che lo stesso notaio mi ha presentato, è il dottor Daniele Di Mambro, di scuola Frescobaldi, dell'équipe di enologi della Tenuta dell'Ammiraglia di Magliano di Toscana in Maremma, di proprietà dei marchesi fiorentini. E' l'esordio al Vinitaly e quest'anno si troverà spazio anche al Cibus di Maggio a Parma. Le bottiglie prodotte da questa azienda, che impiega 6 persone di cui tre a tempo parziale e tre a tempo pieno,  sono 30.000 per il momento con possibilità di raddoppiare il numero una volta giunto a pieno regime il giovane vigneto del 2006. Il primo anno di produzione è stato il 2011. I vini sono tre: un bianco chiamato Sorgente, un uvaggio di greco e malvasia puntinata del Lazio, che è molto fresco e mantiene una certa aromaticità data dalla malvasia, ed un buon rosso,  il Villa Cocceia, abbastanza robusto, composto di un uvaggio fra sangiovese e cesanese. Buona struttura, sentori di bosco su tutti, con una speziatura percettibile di pepe nero. A mio avviso si esprimerà meglio il prossimo anno, e anche la vite, fra qualche anno, potrà produrre uve di maggiore qualità.
Last but not least un chiaretto, il Rosa dei Venti, da uve sangiovese, molto fresco e  con un certo carattere, anche se devo ammettere che raramente i chiaretti o rosati fanno breccia nel mio palato.
Questi vini sono disponibili nel nuovo ristorante a Castel Madama gestito dal collega sommelier Fernando Pucella, "Casa Fernando", aperto su prenotazione. I prezzi: 5 euro per gli operatori, 9 Euro al pubblico, ci assicura il notaio.
Vino rosso Villa CocceiaFrancamente sono sentimentalmente coinvolto e soddisfatto dall'impatto di avere visto in un'etichetta di un vino al Vinitaly il nome di Castel Madama e colpito anche del fatto che nella Tenuta Colfiorito ci sia una florida attività economica, comprendente non solo le feste ed i matrimoni, ma anche  le altre attività appena descritte, oltre a quella ricettiva, della quale neppure conoscevo l'esistenza. Mi auguro, per dirla come Ramondelli che "l'azienda progredisca" e che il vino di Castel Madama arrivi gradualmente ad ottimi livelli. Mi sembra che le premesse ci siano tutte. Un augurio va  alla famiglia anche per l'imminente matrimonio del futuro notaio Ramondelli Jr, che a luglio convolerà a nozze, con festa, forse, nella stessa Tenuta.