giovedì 25 luglio 2013

Il Profumo del Chianti - La dinastia Antinori si racconta

La discontinuità per un blogger dilettante è quasi un must, altrimenti il piacere diventa lavoro e ça va sens dire che non è la stessa cosa. Per questo in questi mesi abbastanza impegnati, dove la  mancanza di ispirazione regnava sovrana, avevo bisogno di un qualcosa che mi  riaccendesse  la voglia di scrivere e che mi riportasse a riprendere il filo di un discorso già aperto con i lettori, evitando di essere additato come un trascurato e maleducato cantastorie, che nemmeno si congeda dal suo pubblico, se ha di fatto già deciso di farlo.
Cio' che riacceso in me la voglia di scrivere è stata la lettura di un libro non nuovissimo,  uscito nel novembre 2011, ma che ritengo fondamentale per tutti gli appassionati di vino: il Profumo del Chianti, di Piero Antinori, edito da Mondadori, regalatomi dall'amico Roberto Scalacci.  In uno stile semplice ed evocativo, il Marchese fiorentino ci  offre in un racconto,  intessuto su sette dei suoi vini che danno il titolo ad altrettanti capitoli,  tutte le tappe più significative, il credo, la filosofia, gli aneddoti e gli errori che hanno caratterizzato la scalata degli Antinori verso l'Olimpo del vino italiano e mondiale.
Certo non manca l'autocelebrazione della dinastia, ma fa parte del gioco: gli Antinori, noti commercianti di stoffe e seta,  si iscrissero all'arte  fiorentina dei "Vinattieri", chi vende il vino o lo produce, nel lontano 1385 su consiglio della madre di Giovanni Antinori, Albiera degli Agli, nome cosi' caro al Marchese Piero da riproporlo per la sua primogenita, nata poco prima che lo stesso prendesse le redini dell'azienda nel 1966 da suo padre Niccolo'.
Da li' ne è passata di storia, tutta "in house", con un semplice società a responsabilità limitata e senza pagare un dividendo, ma solo salari, anche alle figlie proprietarie. L'eccezione è il periodo che il Marchese definisce buio che va dal 1985 al 1992, quando l'azienda, in temporanea difficoltà per delle diatribe familiari con il fratello più piccolo Ludovico, cedette parte delle proprietà al'inglese Whitbread, società invece quotata in borsa e con altri obiettivi : la " vintage strategy" dell'azienda, cosi' come descritta qualche anno fa dal Wall Street Journal, la strategia che punta al futuro, che  vede in un investimento in un vigneto per meno di quarant'anni qualcosa di troppo limitato nel tempo, non si addiceva alle preferenze di mercato degli albergatori inglesi. Con enorme sforzo, tramite un singolare episodio di  liquidazione delle plusvalenze ottenute dalla vendita delle partecipazioni Fondiaria, azioni chiave per Montedison e il gruppo Gardini,  e l'appoggio di qualche banca, finalmente Piero riusci' a riportare nel 1992 la Antinori al modello del family business.
Il Marchese Antinori con le tre figlie, Albiera, Allegra ed Alessia
Family business che oggi si impernia sulla figura delle tre figlie di Antinori, la già citata Albiera, poi Allegra e Alessia, che gradualmente sono state avvicinate ad essere non solo donne di marketing e di business, ma anche di vigna: Alessia è enologa e si occupa dello sviluppo di alcune tenute, fra cui anche quella della Franciacorta, Montenisa, i cui terreni sono presi in affitto dai conti Maggi. Il racconto di Piero ci porta poi al Villa Antinori, nato nel 1928 da un'intuizione di suo padre Niccolo', la cui boutade classica era " A Bordeaux hanno i castelli, in Toscana abbiamo le Ville". Questo vino è un Chianti rinnovato a predominanza sangiovese, ma con una giusta dose di transalpinità con cabernet sauvignon e merlot  dalla Gironda ed un tocco di syrah del Rodano. Del resto fu proprio la Francia, paradossalmente,  che permise agli Antinori di entrare nel mercato tedesco: ad una degustazione alla cieca a Brema, davanti ad un importatore di prestigio, il giovane Piero riusci' ad indovinare un vino della AOC Graves, persino l'anno, contribuendo ad accattivarsi le simpatie delle persone che contavano in quella sede, e a stipulare contratti dopo.
Questi "vinattieri"  da ventisette generazioni, che dai loro poderi di San Casciano Val Di Pesa si sono estesi fino a possedere oramai 2358 ettari vitati, di cui 1742 in Italia, hanno sempre avuto il vizio della internazionalizzazione o globalizzazione che dir si voglia. Del resto per Piero "Viaggiare apre la mente" e l'inglese è sempre stato di casa, vista la "americanità" di sua madre, Carla della Gherardesca, che aveva avuto madre e nonna americane. Internazionalizzazione che ebbe una consacrazione nel 2000, anno in cui il SOLAIA, blend fra Cabernet Sauvignon, Cabernet Franc e Sangiovese, ottenne il riconoscimento di migliore vino dell'anno per il vendemmia 1997 dal Wine Spectator, la prestigiosa rivista del guru del mercato del vino statunitense e mondiale Robert Parker. Questo vino apparso nel 1979 e modificato con aggiunta del Sangiovese nel 1982 ho avuto il piacere di degustarlo in una delle mie cene brussellesi e certamente non è fra quelli che si possono dimenticare : durante la cena cambio' sentori, profumi e sapori almeno quattro volte arrivando a saggiare tutte le nostre capacità organolettiche...del resto i suoi 150,00 Euro a bottiglia li deve pur valere!!
Inoltre simpatico nel libro è stato il passaggio relativo alla filosofia dell'azienda e alla catena delle P, a quelle parole chiave che devono animare il lavoro della stessa : P come Pazienza, perché,  per  investimenti che portarono gli Antinori nell'élite del Chianti Classico (quali Peppoli e Badia a Passignano) il tempo, nonostante non compreso dalla Whitbread, era il 1985, ha la sua importanza: "Oggi ...il pensiero e la parola corrono velocissimi sul web...Il vino no, ha da sempre gli stessi tempi e non li puo' accelerare". La Seconda P è quella della Perseveranza, che ti impone di "provare e riprovare" per sconfiggere le malattie della vite, come per trovare la giusta combinazione degli assemblaggi o sfondare in nuovi mercati, dove non solo devi produrre un buon vino,  ma lo devi saper "far conoscere e circolare". La P di Previdenza che ti aiuta in tutto il rischioso ciclo del vino dalla Vigna alle Cantine, ma che deve essere sempre presa in considerazione quando si tratta di dover ben investire: i fallimenti delle operazioni Santi, con il Soave, e Bigi, con l'Orvieto Bianco, fecero denotare, per la Antinori, una mancanza di Previdenza, se non una palese sufficienza.O ancora la Precisione, necessaria "miscela fra perfezionismo e pratica" che serve al viticoltore per gestire al meglio i ritrovati della chimica sia sulla vite che in cantina, ovvero le tecniche di vendemmia e il controllo della maturazione : ogni grappolo deve essere staccato dalla vite al momento giusto, altrimenti il vino non sarà quello che si aspetta. Solo dopo di questo c'è la P di Profitto, che deve essere un mezzo e non il fine, il mezzo per poter poi reinvestire in qualità e in efficienza nell'azienda, rimanendo meramente " vettore di miglioramento", per " lasciare alla prossima generazione un'azienda migliore di quella ricevuta". In ultimo quale summa P che raccoglie tutte le altre, c'è la Passione, quale "scintilla molto mediterranea" che dà il senso del'Italianità e che si estrinseca in un "Sistema del Bello" cui ogni cittadino dell'italica penisola è stato educato  e che si riverbera in un'italianità concepita nel mondo come " raffinatezza, creatività, buon gusto e dolce vita". Visione abbastanza idillica, ma che comunque ci offre un quadro di cio' che dovrebbe essere lo spirito di un'impresa, soprattutto quando è ancora intesa come familiare.
Giacomo Tachis con le sue creature Tignanello e Sassicaia
E nella famiglia erano entrati a far parte, continua il Marchese, anche Giacomo Tachis e Renzo Cotarella, enologi e ammisistratori dell'Azienda, nonché due degli uomini del vino fondamentali per la Storia del settore in Italia. Tachis, in Antinori dal 1961,  fu assunto a nemmeno 30 anni su indicazione del professore di agronomia Garoglio e a seguito della sua strepitosa ascesa professionale, venticinque anni dopo l'investitura del Marchese Piero,  a coronamento di una lunga carriera, gli è stato assegnato nel 2011 dalla rivista inglese Decanter il riconoscimento di Man of the Year. Lo stesso Tachis, piemontese classe 1933, che non solo è il padre del Sassicaia, vino di Mario Incisa della Rocchetta, zio di Piero Antinori, o del Tignanello IGT (un Chianti dal 1971 ripulito dalle bacche bianche della formula di Ricasoli e con passaggio in barrique, che apri' la strada ai c.d. Super Tuscans) di punta della Antinori, ma che è stato il traspositore italiano dell'opera di Emile Peynaud in Francia, che ha introdotto e fatto comprendere le diverse tecniche di selezione delle viti e delle fermentazioni, (è stato lui a introdurre la malolattica), e il primo a "creare una nuova filosofia del vino...dicendo che il vino deve nascere da un patto con il territorio, come distillato dell'essenza di una terra". Tachis ha una storia di consulente riconosciuta anche in altre cantine, ma ha incarnato il credo Antinori  per decenni e ne ha facilitato l'innovazione nel  mondo del vino.
Altro enologo che è cresciuto in famiglia è Renzo Cotarella, l'"autore" del Cervaro della Sala, bianco di punta umbro della scuderia Antinori, proveniente dall'Orvietana Tenuta della Sala, acquisita da Niccolo' Antinori nel 1940, ed "artefice" altresi' del Guado al Tasso, creatura proveniente dalle tenute della Gherardesca di Bolgheri, Super Tuscan di diritto sulla scia del Tignanello e alter ego dell'altro top wine bolgherese Ornellaia (voluto invece dal fratello di Piero, il Marchese Ludovico Antinori, anch'esso Wine of the Year per il Wine Spectator nel 2001).
Renzo Cotarella
Cotarella, giovanissimo, fu assunto non ancora laureato nel 1977 e si occupo' in primis della ristrutturazione della tenuta  della Sala, poi si dedico' anima et corpore alla creazione di un vino che si ispirasse ai bianchi di Borgogna, che potesse affermarsi "per carattere e personalità, rappresentando in toto il territorio e il produttore". Questo vino venne nel 1986, misto fra Chardonnay e Grechetto  e che gli Antinori definirono il Tignanello Bianco, per averne in comune anche il passaggio nelle botti piccoli di 225 litri, cosi' care ai francesi.
Cotarella è il consolidatore dell'opera del rivoluzionario Tachis ed è Lui che è dietro i vini di tutta la galassia di cantine Antinori in Italia e nel mondo: dalle tenute etrusche della Braccesca a Cortona e Montepulciano, o della fattoria delle Mortelle in Maremma, con il Botrosecco creato assieme ad Alessia Antinori, titolare dell'azienda; dai sessanta ettari vitati di Montalcino che danno dal 2000 il Brunello aziendale Pian delle Vigne, dalla tenuta di Forano nel Lazio, ripresa dopo l'espianto di Boncompagni Lodovisi e che dovrebbe ridare i propri vini già dal 2015.
Cotarella è anche dietro i vini Tormaresca in Puglia, ottimo il Moscato dolce di Trani e il Pietrabianca Chardonnay, che ha anche  acquisito  nel brindisino recentemente  la fattoria Maime; coordina gli enologi, fra cui David Landini, nella tenuta Monteloro a Fiesole dove gli Antinori coltivano vitigni a bacca bianca nordici, quali il Riesling Renano, il Pinot Bianco , il Gewurzraminer, che hanno la loro massima espressione nel vino Montebraccio ( per una panoramica sulle tenute cliccate sul sito Antinori). Nelle Langhe alla Prunotto, fiore all'occhiello di Albiera che la gestisce, il Barolo lo fa invece Gianluca Torrengo.
Senza menzionare gli altri possedimenti all'estero sempre sotto l'egida dell'enologo ternano, eppure importanti, citiamo solo l'Antica Napa Valley e la Stag's Leap-Cellar, tenuta che nel 1976 fu protagonista del famoso Judgment of Paris, in cui ad una degustazione alla cieca di sommelier francesi i migliori vini bianchi e rossi risultarono quelli americani, fra i quali il cabernet di questa cantina ( episodio simbolicamente riconosciuto come spartiacque per il rapporto con il nuovo mondo del vino). Tre cantine americane, una in Ungheria, altre in Romania e Malta e una in Cile: il tutto cercando sempre di creare sinergie fra cantine e produttori e all'insegna dell'innovazione. Innovazione che  ha portato l'Azienda Antinori ad uscire dal centro di San Casciano Val di Pesa e creare le cantine  al Bargino, appena fuori  San Casciano, creando uno spazio di lavoro e di rappresentanza di natura quasi monumentale, disegnato dal giovane architetto fiorentino Casamonti: cantina ecologica che sfrutta la luce naturale e con la presenza di musei interni che ne fanno un vero e proprio centro di cultura e un monumento all'enologia e alla creatività italiana, in linea con quanto fatto da Vittorio Moretti a Suvereto con Petra di Mario Botta e da Paolo Panerai nelle cantine di Rocca di Frassinello, ad opera del grande Renzo Piano.
L'esterno della nuova Cantina Antinori a Bargino
Come vedete un libro che è una miniera di informazioni e consigli, e che esalta largamente le gesta della famiglia, che effettivamente sta facendo molto per il vino italiano. Un fenomeno da  forse cinquantamilioni di bottiglie o più l'anno che ha pochi eguali  e che comunque rende onore al brand italiano all over the world. Una lettura che avvicina ad un mondo affascinante ed assai competitivo e ad un'impresa ben condotta, che grazie a dei seri principi e ad una folta schiera di validi  collaboratori, riesce a combattere le classiche fraglilità delle wine dinasties. L'ho trovato molto educativo e ne consiglio la lettura a tutti e in specie a sommeliers e appassionati di vino.