domenica 12 luglio 2020

Metti un sabato a pranzo ai Castelli Romani: Poggio Le Volpi: Vini, Epos Bistrot e Ristorante Gourmet Barrique

Voglio riniziare il percorso interrotto qualche anno fa oramai per poter tornare a parlare di vino e voglio farlo parlando delle eccellenze della mia regione, che oramai ho lasciato da quasi undici anni e che sto riesplorando ora con altri occhi anche in chiave prospettiva, visto il prossimo epilogo della mia parentesi di vita e lavorativa in terra belga. Nel frattempo molte cose sono cambiate e il luogo che ho visitato sabato scorso e' nato proprio durante la mia assenza, nel  dicembre 2014 con il Wine Bistrot, prendendo le sembianze odierne solo nel 2017. 
Si' perche' sabato scorso con Doretta ci siamo detti:  "Perche' non andiamo verso Frascati?" terra di un caro amico mai dimenticato e che trasuda ancora molti sentimenti per la nostra famiglia. Memore del Luna Mater  di Fontana Candida bevuto la sera prima, abbiamo deciso di andare verso Finocchio (sulla Casilina) e risalire verso i castelli Romani, passando proprio da quella via in salita (via Fontana Candida), dove  contavo a memoria gia' tre aziende proveniendo dal comune di Roma:  Casata Merge', poi il famoso Fontana Candida, propaggine del territorio del comune di Frascati  e piu' in alto Poggio Le Volpi, dove siamo gia' passati al territorio di Monte Porzio Catone.
Ho detto a mia moglie: "Lassu' ci dovrebbe essere un bistrot di Poggio Le Volpi, ti ricordi? Quelli dell'Epos, del People, del Donnaluce?" Mia moglie, non so se per accondiscendenza o se davvero ricordasse, ha annuito, allettata dall'idea.
Ed infatti, appena superato il casello della autostrada, sulla destra, sotto qualche goccerellina di pioggia, ci troviamo in un ampio parcheggio e davanti ad un bell'edificio  con richiami signorili e pertinenze in marmo sovrastante le vigne a spalliera volte verso il levante, vale a dire verso la Capitale. Andiamo all'Epos Wine and Food, ma ci dicono che al piano sottostante si potrebbe provare anche l'esperienza gourmet del Ristorante Barrique. Ci sediamo al Bistrot ripromettendoci di valutare e provare poi il Ristorante Gourmet (con 2 menu da 7 e 9 portate a prezzi ancora ragionevoli), non senza notare la carne a vista e la braceria gestita da un dedicato giovane "asador", che aveva notato il mio sguardo iniziale fra l'incuriosito e il sorpreso.
Il pranzo doveva essere veloce, poi, quando un simpatico cameriere equipaggiato con mascherina ci ha passato le carte dei menu (no, non il tablet), abbiamo capito che trattavasi realmente di cosa seria e che meritava il tempo necessario.
I piatti sono immediati, territoriali, poi c'e' la braceria con carni da vari posti del mondo, dalla Prussia polacca, al Simmenthal svizzero, per passare anche ad altri paesi, e la carne e' sottoposta a dry ageing, alla frollatura alla temperature costante di due gradi  a umidita' controllata, che ne conserva e preserva le caratteristiche. El Asador, che si chiama Edoardo, mi ha poi accompagnato a vedere la cella apposita dove le carni riposano in genere per tre mesi o piu'. Lo stesso Edoardo, sollecitato da me, mi ha proposto di prendere la Simmenthal svizzera e me ne ha dato un assaggio cruda per capire a pieno la sua morbidezza: un trattamento del genere lo avevo avuto solo a Lanzarote al Ristorante Toro, anche li' esperienza gourmet di un certo livello.
La cella "dry ageing"

Al contempo mia moglie prende le costolette d'agnello e patate, comme d'habitude, e mia figlia dei rigatoni alla carbonara. Per contorni la classica cicoria ripassata e un abbondante piatto di friggitelli. E cosi' vengo a scoprire che il cuoco che gestisce entrambi i ristoranti di Poggio Le Volpi, vista la dipartita a inizio anno da EPOS del suo secondo Daniele Corona verso Toronto per essere Chef de cuisine presso il ristorante stellato Don Alfonso della famiglia Iaccarino, e' Oliver Glowig, allievo a Monaco di Baviera di Otto Koch e a Capri di Gualtiero Marchesi, e gia' triplamente stellato, prima all'Acquarello in Germania, poi con due stelle all' Hotel Palace a Capri e ancora due stelle all'Aldrovandi Palace a Roma. Diventato oramai, al pari del compatriota Heinz Beck, mostro sacro, possiamo dirlo, della cucina italiana gourmet, ha abbracciato a pieno il progetto di Felice Merge', enologo e proprietario di Poggio Le Volpi e di Rossella Macchia, dea ex machina dell'Azienda, per poter creare nella barricaia dell'edificio un ristorante gourmet da abbinare al piu' easy going Bistrot e braceria del piano superiore, per creare un vero hub del "gourmand" dentro i vigneti di quei 35 ettari che Felice e Armando, suo padre, acquistarono nel 1996 per farne una cantina all'avanguardia. Mi piace ricordare che il fondatore Manlio Merge', padre di Armando, nel 1920 produceva vino sfuso e lo trasportava a Roma, come facevano in molti della provincia romana a quei tempi, inclusi entrambi i miei nonni, che invece trasportavano a Roma frutta e verdura gia' dopo la prima Guerra mondiale.
Edoardo "El Asador"
 Erano i cosiddetti carrettieri, personaggi immancabili nella storia della antica Roma Metropolitana, allora sbocco commerciale obbligato per i contadini della piu' povera provincia.
Nel 2017 Oliver Glowig passa dal Mercato Centrale capitolino a Monteporzio, dicevamo, e la risposta del pubblico sia romano che locale non si fa attendere. Territorio e materia prima, lo chef che non deve strafare, ma correttamente abbinare e assecondare i prodotti, con sapori che debbono distinguersi e non con "tendenze" che coprono gli stessi ( spezie, cotture atipiche, o altro), sono questi i capisaldi dello chef teutonico che riscuotono sempre piu' successo. E la materia prima e' e deve essere fantastica, sia essa carne, pesce, verdura e pasta. Per la verdura le riminiscenze campane e isolane hanno portato a Monte Porzio dei friarielli ( o friggitelli) di una squisitezza unica, cosi' come saporitissima era la stessa cicoria. La carbonara era deliziosa, con una cremina e dei sapori che da tempo non riecheggiavano nel mio palato.
Per la carne, veramente un "buro", per dirla alla romana, servita su piatto di ghisa bollente, la Simmenthal svizzera sottoposta a frollatura e' stata una delle migliori mai degustate, tenera, saporita e ben al sangue.

Il capitolo vini e' stato introdotto da un collega sommelier FIS di Palestrina ( prima o poi sapro' il suo nome, per ora mi scuso), competente e simpatico, che fa il paio con il maitre sommelier del Barrique Dario Campanella, WSET4 e con esperienza internazionale, su carta dei vini che Oliver aveva voluto consigliata dallo sfortunato, ma sempre eccellente Luca Boccoli del Mercato Centrale. La nostra scelta e' stata quella di fare una carrellata sui vini di Poggio Le Volpi al bicchiere, lasciando alla prossima visita l'assaggio dei vini dell'altro podere della famiglia Merge', quello pugliese di Masca del Tacco, dove in vari possedimenti per circa 200 ettari, i vignaioli di Monteporzio producono Salice Salentino, Primitivo di Manduria e altre tipologie di vini tipici della regione del tacco d'Italia. Il primo vino assaggiato, by default, e' stato l'Asonia, splendido metodo classico Frascati DOC prodotto da uve Malvasia di Candia dei vigneti di colle Pisano, con sentori classici di crosta di pane, melone  e finale iodato, bollicine finissime dai 60 mesi sui lieviti. 
Poi ho chiesto l'EPOS Frascati Superiore Riserva DOCG 2016, mellifluo di melone, camomilla, cera, forse miele d'acacia e frutta esotica. Parlando con mia moglie dicevamo che somiglia piuttosto a un riesling della Mosella come profumi e sapori ed ecco che il collega sommelier dice la stessa cosa: la pensiamo "analiticamente" allo stesso modo, altro motivo di soddisfazione.

Con la carne il sommelier mi ha fatto provare il Roma DOC base da uve Montepulciano (predominante), Cesanese e Syrah. Vino abbastanza morbido di frutti rossi, macchia mediterranea e di un complessivo equilibrio. DOC Roma nasce nel 2011 con sette tipologie ed e' l'unica DOC che trae origine in una capitale europea, motivo se vogliamo anche d'orgoglio "patrio" per un territorio con tali tradizioni vitivinicole. 
 


Spese finali

La DOC nasce con soli 35 ettari, mentre oggi, dopo l'istituzione del Consorzio avvenuta nel 2018, si contano circa 270 ettari e una produzione di almeno un milione di bottiglie, con 81 produttori provenienti da un'ampia fascia della citta' metropolitana: forse sono escluse solo Tivoli e Castel Madama dalla possibilita' di rientrare nella DOC, mentre i Colli Albani e Prenestini, la Sabina Romana, la zona costiera sono ben rappresentate. Ancora una volta le nostre realta' perdono l'appuntamento, perche' poco mature in senso  imprenditoriale agricolo, per un'occasione sicuramente importante. Discutibile il fatto di utilizzare per il Roma DOC Rosso il Montepulciano in prevalenza e solo una piccola percentuale di vitigni veramente romani, quali il cesanese o il nero buono. Molta della critica, si discuteva con il sommelier, non ha certo apprezzato l'operazione che ha strizzato un po' l'occhiolino al mercato internazionale per prediligere nell'uvaggio il montepulciano, che riecheggia il noto vino e localita'  toscane e il vitigno abruzzese o la syrah ( e non il merlot oramai autoctono ad Atina e nel frusinate), che di laziale ha ben poco, per screditare vitigni dal DNA delle campagne romane, quali ad esempio il cesanese o il nero buono. Per queste ragioni uno dei flagship wine della casa, il Baccarossa nero buono in purezza, ha dovuto ricorrere alla IGT Lazio, non potendo rientrare nel disciplinare della Doc "Caput vini". Cosi' come IGT Lazio e' anche il morbido Donnaluce, forse il vino piu' apprezzato della cantina , prodotto da un blend di Malvasia di Candia, Greco e Chardonnay. Altre critiche sono venute sul versante Roma DOC Romanella Spumante  che ha diciamo istituzionalizzato pratiche secondo molti poco edificanti riguardanti la produzione di un vino frizzante locale, protagonista nelle cosiddette "fraschette" dei Castelli dove ben si abbinerebbe con la porchetta di Ariccia. Per finire mia figlia ha preso una eclaire alla panna e pistacchi che e' scomparso in men che non si dica. D'uopo la visita stile museo al ristorante sottostante Barrique,  alle nicchie "caves a' vin" con le oltre trecento etichette italiane e internazionali, alle vetrine di stagionatura di formaggi e salumi e alla cucina con oblo', il tutto con viste mozzafiato sulle vigne e sulla metropoli sottostante. Logicamente poi ho acquistato qualche prodotto, ivi compreso l'ottimo olio assaggiato sul pane  a inizio pasto, ma la prossima volta andro' piu' attrezzato. Ce ne siamo andati assai soddisfatti di questa visita degustativa avvenuta quasi per caso, certi ancor di piu' che la zona dei Castelli romani sta migliorando la sua offerta e che questa area vocata per la produzione vitivinicola puo' dare ancora molto al mondo gourmet della regione e, perche' no, nazionale.
Barrique Ristorante e Barricaia
Un appuntamento da non mancare a un passo da Roma e da Tivoli per gli appassionati di vino e buona cucina. A presto Epos e Barrique: oramai siete nella lista dei "punti godimento" del Ministro del Godimento e sarete meta assidua di escapades ai Castelli per la nostra famiglia gourmanda.
Per altre foto visitate il mio profilo facebook: Marco Moreschini









EPOS Wine and Food Barrique,
Via Fontana Candida, 3/C
00078 – Monte Porzio Catone (RM) - Italy
Telefono e fax: +39 06.9416641
E-mail: info@enotecapoggiolevolpi.it





domenica 1 maggio 2016

Viaggio sulle rive della Mosella, patria dei Riesling!!! Cos'è e come è veramente il vino tedesco!

Bernkastel vista dal battello, con la collina piena di vigneti
Ci voleva proprio un po' di riposo, un po' di spensieratezza dopo i giorni tesi e di angoscia degli attentati di Bruxelles. Il viaggio era stato organizzato già da tempo. Su consiglio di alcuni amici ho "preso di mira"  Bernkastel, stupendo villaggio della Mittel Mosel, della Mosella di mezzo, stupendamente tenuto e di una grazia che lascia a dir poco stupiti. Perché proprio Bernkastel? Perché alcuni dei migliori vini tedeschi sono prodotti proprio li', lungo le rive del fiume Mosella, affluente del Reno, che lungo tutte le sue sinuosità per 544 chilometri prima di riversarsi nel Reno a Coblenza, accoglie, rigorosamente con esposizione verso il fiume, migliaia e migliaia di filari e di ettari di vigneti, occupando intere colline in ogni singolo cm della loro estensione e con pendenze incredibili. Altro che viticoltura eroica, io la chiamerei titanica e  purtroppo questa durezza nel lavorare la vite sta avendo un'influenza negativa perché sono sempre meno i giovani, in queste condizioni cosi' disagiate,  che si dedicano al vino. Cio' purtroppo fa si' che il vigneto stia avendo una diminuzione in termini assoluti rilevante: la manodopera dell'est non basta a sopperire a queste mancanze. La latitudine, siamo a due ore e 20 minuti da Bruxelles, non incide: il fiume la vince con un microclima che favorisce la coltivazione della vite e il terreno  nero di ardesia che trattiene il calore del sole riflesso sul fiume per le rigide notti. Questi fattori incidono assai per creare quello stupendo equilibrio fra poca alcoolicità e acidità che è fondamentale per questi particolari vini.

Il vigneto di Bernkastel visto da vicino al Castello
Perché proprio la Germania?? Perché francamente anche se si studia nei vari corsi (ed un particolare accento è posto sulla Germania nei corsi internazionali del WSET e sull'atlante del vino di Jancis Robinson e Hugh Johnson), non si approfondisce mai per mancanza di pratica, proprio perché ben pochi vini tedeschi arrivano sia in Belgio, sia in Italia, sempre per quelle leggi del mercato che nessun MERCATO UNICO regolamentato riuscirà mai a soppiantare. Per queste ragioni, anche per appassionati ed esperti,  la complessità del vino tedesco, sia per le regole che per il palato, rimane sempre piuttosto sulla carta. E' stato un viaggio/seminario, quindi, che mi ha avvicinato ai vini tedeschi, me li ha fatti comprendere meglio e mi ha dato un buon motivo per continuarli a bere.
La Mittel Mosel e i villaggi del vino
Partiti il giovedi' di Pasqua assieme a mia suocera Anna,  costretta a rimanere con noi causa attentati, ci siamo sistemati in un appartamento carinissimo a con  due stanze da letto per un prezzo veramente stracciato. Lo stesso appartamento  era a Kues, paese natale di quel Niccolo' Cusano  che mi ricordo dai tempi del Liceo per la "dotta ignoranza" per cui sapiente non è colui che sa , ma chi riconosce la propria ignoranza (quanti dovrebbero leggerlo Cusano!!!).
Dall'appartamento si poteva vedere dall'altra parte del fiume a Bernkastel, il vigneto del Doctor, uno dei più importanti della Mosella. 
Usciti nel pomeriggio per fare un giretto del villaggio, scopriamo, oltrepassando il ponte sul fiume che uni' i due villaggi originariamente divisi,  l'incantevole Bernkastel, fatta  di case in legno  colorate e ben tenute e piccoli campanili, viuzze e negozi di souvenir, e dove la Mosella si è infuriata tre o quattro volte a giudicare da alcuni segni sui muri che rivelano dove l'acqua era arrivata durante le diverse inondazioni, l'ultima negli anni 50. Passato il centro informazioni dove prendiamo materiale da approfondire in altri weekend (Castelli della Mosella), ci tuffiamo nella prima degustazione in un'enoteca accanto all'Ufficio del Turismo. L'azienda o Weingut, come si incontra centinaia di volte per strada qui, si chiama Walter J.Oster e ha aperto da solo qualche anno il punto vendita a Bernkastel, ma è di Cochem, una quarantina di km più a ovest verso Coblenza, altro cru per dirla alla francese e che nel suo affascinante Castello ospita ogni anno un grande festival del vino. Produce anche liquori, bevande aromatizzate ed è curioso come tutto sia parimenti ben esposto, senza seguire alcuna gerarchia rispetto ai vini. Qui comincia l'approfondimento sulla saga delle classificazioni. La signora ci propone due trocken, poi un halftrocken, e un suss, poi un sontuoso Eiswein, questo rigorosamente a pagamento ma ad una somma irrisoria ( 2.5 Euro, un terzo di quello che paghiamo a Bruxelles, per una flute di banale Prosecco).
Una semplificazione delle classificazioni tedesche
I trocken (41 per cento della produzione nel 2011) possono avere fino a 9 grammi litro di zucchero, gli halftrocken (23 %) fino a diciotto grammi litro, mentre i suss sono la categoria residuale di vini dolci, fra i quali si inseriscono anche i "liebliche" che possono raggiungere i 45 grammi litro. In soldoni la prima classificazione di base ci fa capire di quanto sia importante lo zucchero naturale contenuto nel mosto per i vini tedeschi: più elevato è il tenore e più alta in genere è la qualità. Ovviamente portato all'estremo questo metodo ci porta a delle aberrazioni, ma diciamo che, nella "furia armonizzativa" e semplificativa delle legislazioni europee, quella delle classificazioni del vino è rimasta un po' a latere, con la sanatoria prevista per tutte le classificazioni precedenti in ogni paese all'entrata in vigore della OCM Vino del 2008. Diciamo pure che si puo' far meglio, ma lobby, interessi, milioni non sono poi cosi' semplici da manovrare e da cambiare radicalmente.
Beviamo quindi 4 declinazioni del principe dei vini e vitigni tedeschi, quel riesling che qui raggiunge, nella sua terra d'origine e d'elezione,  il massimo livello di eleganza e avvolgenza, che forse è il più longevo dei vini e la cui complessità olfattiva è forse una delle carattersitiche che noi assaggiatori/sommelier apprezziamo di più. Dapprima due trocken, uno con meno zuccheri un altro con un po' di più, poi uno spatlese e ancora un eiswein, prodotto da uve sane raccolte a -7 gradi tardivamente nei rigidi inverni tedeschi, con concentrazione degli zuccheri nei grappoli gelati fino a 118 gradi oechsle ( è con questi che si misura la famosa concentrazione di zuccheri nel mosto). Qui si apre altra parentesi per definire altra qualificazione dei vini tedeschi, quella che distingue  fra TafelWein, Landwein, Qualitatswein bestimmter Anbaugebiete e Qualitatswein mit Predikat.I primi, di oramai bassissima qualità,  rappresentano solo il 3 per cento della produzione tedesca, e sono il corrispondente dei vecchi vini da tavola, con zuccheri e alcool anche sotto i sei gradi.  Poi troviamo gli odierni IGT, i cosiddetti Landwein, anch'essi con una produzione in netto calo e con un grado alcolico di almeno 6.7 gradi. Poi troviamo le DOP, i QualitatsweinbA (con le tre subclassificazioni trocken, halftrocken e suss viste prima), dove A sta Anbaugebeite,  una delle 13 regioni vitivinicole autorizzate. Per questi vini si potrà anche aggiungere, secondo certi limiti, dello zucchero per aumentare la gradazione alcolica (chaptalisation). Sopra a questi abbiamo, per dirlo all'italiana, i DOCG  ( Qualitatswein mit Predikat), i vini con predicato, che a seconda del livello saccarino si dividono in altre 6 categorie con gradazione oechsle e alcolica crescente: Kabinett, Spatlese, Auslese, Beerenauslese, Eiswein ( aggiunta negli anni 80), e Trockenbereenauslese. Per questi vini la chaptalisation non è ammessa.
Entrata Weingalerie
L'Eiswein che assaggiamo è sontuoso,  con una morbidezza e mineralità particolari, ma anche gli altri assolutamente ragguardevoli: morale...portiamo via tre vini, un dolce, uno straordinario e abbastanza costoso trocken preferito da mia moglie, e un rosso  Dornfelder (incrocio ottenuto nel 1955 a Winsberg nel Baden di due varietà sassoni Helfensteiner e Heroldrebe), elegante ed equilibrato, bevuto a cena nella piccola ma funzionale magione dove eravamo alloggiati, forse sin troppo elegante per la similamatriciana che avevamo preparato.
Secondo giorno, venerdi' santo, giornata piovosa, ma due belle intuizioni. Mentre andavamo alla ricerca a Lieser della  Weingut Thomas Haag, che è contornata da uno splendido Castello, trovandola purtroppo chiusa (ma ci torneremo presto), abbiamo fatto un giretto per il villaggio, delizioso, e tornando verso Kues ho visto che un'enoteca, dall'aspetto molto curato, era aperta.
Dico a Doretta di fermarsi e ci aspetta un'entrata dove le maniglie sono le bottiglie da  37,5 cl con cui si imbottiglia l'Eiswein.  Dietro il banco un baffuto signore a cui chiedo di fare la sequenza: si parte dal trocken per risalire al Kabinett, poi i vari auslese e cosi' via fino al Trockenbereenauslese,  il principe dei vini tedeschi per dolcezza ed eleganza. Per intermezzare degli assaggi del classico Dornfelder, vitigno e vino che qui oramai fra i rossi la fanno da padroni. Il proprietario della Weingut e vineria Weingalerie, Gehrart Stettler, ci dice di averla appena ristrutturata, che in origine si trattava di una falegnameria e che ora invece funge da punto di ritrovo. C'è la Weinstube, il salone banchetti, e il punto vendita con gadget del mondo del vino. La Weingut quella vera è a un kilometro più lontano, sulle rive della Mosella. Prendiamo dal Weissburgunder, Pinot Bianco, fino ai vari Riesling, sempre molto eleganti e setosi. Ho bevuto al mio ritorno una splendida bottiglia di Eiswein, condivisa in compagnia: miele, cera, albicocca candita, zenzero ai sentori e un'avvolgenza e persistenza rilevanti al palato. Costo cantina ventitre euro, ma ne vale davvero la pena.
Con Herr Gerhard Stettler nella sua Weingalerie
Qui mi soffermo a delineare meglio l'altra classificazione, quella territoriale:  le già citate  Anbaugebiete sono le regioni (Mosel, nel nostro caso), poi ci sono i Bereich (distretti), 39 in Germania, di cui tre in Mosella.Un distretto ad esempio è quello di Bernkastel. Poi ci sono i cosiddetti siti collettivi, i Grosslagen, circa 170 in Germania e 19 nella sola Mosella. Ed ancora poi ci sono i cru, i singoli vigneti, che vengono chiamati Einzellagen ( 573 nella sola Mosella e 2270 nel paese); ad esempio il Doctor è un cru di circa 3.26 ettari che si trova nel Grosslage Badstube. E non è finita qui: spesso gli Einzellage sono generici, riportano un termine generico, ad esempio Schlossberg (Castello) e quindi c'è bisogno del nome del Comune o villaggio, Gemeinden, che compare in etichetta per specificare di quale castello si tratti. I Gemeinden del vino solo in Mosella sono 192.
Degustando alla Vinothek
E l'orientamento gradualmente preso mi servi' subito: nel Venerdi' Santo tutte le weingut e tutti i negozi erano chiusi...l'unica cosa aperta era la Vinothek di Kues, nel complesso dell'Ospedale di San Nicola, donato da Cusano alla cittadinanza per curare gli idigenti, dove c'è anche il Museo del VINo interattivo. Ci ho trovato 140 e più etichette per un prezzo fisso di 18 euro, dalla Prum alla Lorentz, alle più famose Thanisch e altre ancora, che si possono degustare tutti, prendendoli da alcune vasche termoregolate e assoviate ad un numero meglio descritto nella guida che si riceve all'entrata. Ho debitamente lasciato fare una passeggiata  alle mie tre donne, per soffermarmi sulle degustazioni, concentrandomi soprattutto sui Predikat.
Ho preso quindi i vini dei cru più prestigiosi, quel Doctor  di cui ho parlato già prima, il vigneto di 3.26 più costoso di Germania , che è stato oggetto anche di contese giudiziarie nel 1984 dopo una legislazione del 1971 che aveva penalizzato gli antichi produttori. Il Doctor viene chiamato cosi' perché si narra che un arcivescovo, attorno al 1650, malato da tempo, chiese ad un contadino un ultimo rimedio per alleviare almeno le sue sofferenze. Il contadino gli portò una bottiglia di vino, dicendo che era quella la migliore medicina e l'arcivescovo guari' (il concetto ricorda molto la storia del "Tranquillante nostro", canzone di Gigi Proietti). Setoso e minerale, ricordi di miele e albicocca intrecciati a una freschezza ed una sapidità uniche. Vino di rango. La bottiglia l'ho poi acquistata, quella di Thanisch, forse una delle più note. Fra le varie bottiglie, a sorpresa scorgo un riesling italiano di razza, il Monsaltus dei Marchesi di Montalto, proveniente dalla Valle dei riesling dell'Oltrepo' pavese da uno dei sei comuni che hanno rilanciato, anche con l'impianto di barbatelle provenienti proprio dalla Mosella, e che hanno ridato vigore a questo vitigno, impiantato nell'800 in zona sotto la diminazione austriaca. Lo stile è lo stesso, forse con meno persistenza, ma sicuramente il prodotto merita, visto il prezzo di 7 Euro e  85 , sicuramente interessante.
Il vigneto Goltropfchen a Piesport
Ho anche provato dei vini dall'altro Einzellage, quel Goldtropfchen di Piesport  che niente ha a che vedere con il banale Piesport della pianura, proveniente dal Grosslage Michelsberg. Un buon equilibrio fra un gusto di frutta caramellizzata, uno speziato dolce, con la classica nota minerale  di supporto e una forte ed energetica acidità di fondo.
Concludo la mia degustazione con una trentina di vini assaggiati, tutti con un livello medio assai considerevole, quattro bottiglie selezionate e la voglia di andare il giorno dopo a vedere Piesport.
A dire il vero Piesport sotto il profilo della vivacità del villaggio ci ha deluso un po', ma il vigneto del Goldtropfchen ci ha colpito, cosi' scosceso e ripido, che scende fino allo stesso villaggio, che appartiene ancora, nonostante sia spostato di 15 km verso Treviri,  al Comune di Bernkastel-Kues. Sotto l'ennesima chiesa di San Michele, che si combina con quelle del capoluogo a qualche chilometro, davanti ad un hotel assai rinomato, ho trovato una Weinstube piccolina, ma che mi ha colpito subito. Manco a dirlo è uno dei giovani viticoltori più stimati del Goldptropfcken, Kurt Hain, proprietario dello stesso hotel, i cui vini profumati mi hanno colpito subito. Dopo la classica degustazione ho preso un pinot blanc, due riesling kabinett e spatlese ed un rosso da blend di vitigni tipici, fra cui il pinot nero. I momenti degustativi non si limitavano solo al vino...molto interessante una cena al ristorante Graacher Tor, di cucina tedesca raffinata e una menzione merita la Pizzeria Badstube sita in centro a Bernkastel, sotto la casa a punta e nella piazza centrale, gestita da ragazzi sardi di Dolianova. Prezzi incredibili rispetto a Bruxelles e pizze notevolissime. Carta dei vini forse da migliorare, ma come al solito anche li', zona di vino, non sarà facile ottenere vini italiani di livello cosi' facilmente.
Fatto il pieno da Hain a Piesport
 Le  numerose degustazioni non mi hanno impedito di fare una corsetta lungo la Mosella su pista di una decina di chilometri che concilia molto con il jogging salutista. Il giorno dopo siamo andati a Magonza e due giorni dopo a Coblenza, le città più importanti, assieme a Treviri, della Renania Palatinato...a Coblenza quel fiumiciattolo di 544 km, si riversa nel gigante Reno e il punto di confluenza è un luogo molto suggestivo.  Bellissima gita quindi, che  mi ha dato modo di fare un seminario itinerante sul vino tedesco e che me lo ha fatto finalmente apprezzare come merita. L'approccio scientifico, però, è durissimo a causa della complicatissima legislazione pre-comunitaria. Ad ogni modo sono tornato con una trentina di bottiglie, una almeno per classificazione.  Consiglio molto questi posti per un weekend di relax fuori Bruxelles ed assolutamente lo raccomando ai degustatori, sommelier, assaggiatori, per capire finalmente il vino tedesco e le potenzialità del riesling in particolare.


venerdì 24 luglio 2015

Da Rischiatutto ad Affari Tuoi... un pamphlet di Antonio Capitano su "cosa siamo diventati"

Antonio CapitanoConosco Antonio Capitano​ dai primi anni 90, dai tempi dell'Università, quando pieni di speranze ed energia ci tuffavamo, noi che venivamo da radici umili, nel mondo del sapere, da due prospettive diverse:più pacata la sua, un po' più impulsiva la mia. Lui, come lo definiva il nostro amico comune Francesco​ Chicca era il classico "intellettuale moderato di matrice cattolica", avvezzo all'approfondimento e all'analisi come pochi già in quegli anni. Nel suo Pamphlet Da Rischiatutto ad Affari Tuoi c'è tutta la sua storia e i suoi punti di riferimento intellettuali:la storia è quella di un paese che non c'è più, in quest'epoca  intrisa di quiz "generalisti" e dove conta solo la fortuna, mentre invece a Rischiatutto negli anni settanta inventarono addirittura un modo per cacciare il preparatissimo campione pigliatutto;  la storia delle radioline alle orecchie per ascoltare Ciotti, Ameri e Bortoluzzi e di un diverso modo di vivere il calcio, magari più sociale rispetto alle Pay TV e alla solitudine delle partite nelle case; e ancora delle cabine telefoniche nei bar, ancora svolgenti una funzione sociale...la storia della cultura dell'attesa e del sacrificio contrapposta a quella del tutto e subito...il leitmotiv dell'onestà, che oggi è ancor più raro che in passato.
 Dopo questa carrellata di situazioni Antonio ci passa in rassegna i suoi personaggi-chiave, le fonti di ispirazione cui da sempre si rifà e che affondano il proprio agire in un mondo valoriale strutturalmente diverso da quello odierno...da personaggi della stagione universitaria a quelli della sua vita eclettica che si divide fra vita amministrativo-lavorativa,  teatro, lettura,  scrittura e  cultura in genere...la telefonata al grande Norberto Bobbio, punto di riferimento negli studi amministrativistici di Antonio, la gag con Alberto Sordi: "Maestro a me? E che stamo a scola?!" - altro mostro sacro e riferimento costante ai tempi dell'intensa attività teatrale; si passa poi alla possenza difficilmente scalfibile per Antonio dell'economia "etica" di Federico Caffè, alla legalità come principio ispiratore di un'intera vita per Antonino Caponnetto, maestro di Falcone e Borsellino,  e ancora al valore patriottico ed etico della figura di Sandro Pertini. Poi ci si imbatte nei vari esempi di Cucinelli di amore per il proprio territorio e di Mennea per la disciplina e  il rigore morale...per poi passare a Berselli, cui il saggetto è dedicato, intellettuale a tutto tondo che molto ha influenzato il percorso di Antonio, che forse in fondo si ritrova molto nelle sue parole e nel suo ruolo...e di Antonio c'è tutto in questo saggio: la forza trascinante della cultura da trasfondere specie nelle classi dirigenti, che forse potrebbe contribuire a  sconfiggere l'attuale mancanza di "vision", di vedere oltre, di dare un modello, e risanare una politica che si accontenta solo di mantenere "potere contingente"; la voglia di ritrovare anche nelle piazze i valori di una comunità oramai perduti in una sorta di inarrestabile ubriacatura digitale individualistica; il valore delle piccole cose oramai passate in desuetudine...c'è insomma Antonio là dentro e la summa la si ritrova in un capitoletto dedicato a Luca Parmitano, l'astronauta italiano che ha saputo riflettere sulla sua esperienza cercando di lasciare degli insegnamenti  in eredità ai suoi figli: si parla di "abbracciare le difficoltà" intese come  ostacoli che una volta affrontati renderanno più forti e di cercare le sfide perché rendono il passo più sicuro. Nelle difficoltà, ribadisce Antonio, è proprio al bagaglio delle proprie conoscenze  che bisogna affidarsi, perché illuminano il nostro percorso, consci del fatto che doversi mettere in discussione è sempre qualcosa di stimolante. Pamphlet di facile lettura e molto istruttivo, in cui mi sono assai spesso riconosciuto e ritrovato. Grazie Antonio!!

mercoledì 24 giugno 2015

Rieccoci...Le passioni sono quiescenti , ma ci sono sempre...

Dopo un lungo periodo di assenza, voglio inviare  questo post,  solo per pubblicare le due presentazioni-lezioni che ho tenuto il 22 giugno scorso al Corso per Assaggiatori ONAV a Bruxelles, all'Enoteca della Regione Piemonte, dove mi sono cimentato a spiegare agli aspiranti assaggiatori i fondamenti sulla legislazione sul vino, troppo complessa e da semplificare, e il controverso rapporto fra alcool, vino e salute.
Per la legislazione ho tentato di fare una panoramica della legislazione italiana ed europea, cercando in conclusione di spiegare, per sommi capi, il nuovo testo unico sul vino in discussione alla Camera dei Deputati.

Nell'altra presentazione ho cercato di dare delle informazioni su cosa sia un'unità alcolica , sulle dosi consigliate giornaliere del vino e sulle raccomandazioni dell'OMS, sul  valore alimentare di questa bevanda antica, e sui suoi molteplici effetti positivi per alcune malattie, fra tutte quelle cardiovascolari. Il tutto all'insegna della moderazione e del "bere responsabile". E ricordiamci, per dirla con Baudelaire che "Chi beve solo acqua ha un segreto da nascondere".
Questi i link alle presentazioni: 


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martedì 15 aprile 2014

Ornellaia, l'uomo dell'Aia , Bolgheri e i suoi molteplici filar


Nella foto del blog, quella di copertina, ho di proposito messo forse i vini più rappresentativi italiani nel mondo: Sassicaia, Solaia e Ornellaia. Nonostante i puristi forse storceranno la bocca, sempre combattuti nel dare importanza a vitigni che non sono ascrivibili al territorio italiano, ho preferito inserire questi vini piuttosto che altri perché dovunque nel mondo rappresentano magia, prestigio, e in un certo senso generano un certo orgoglio patriottico anche a chi li beve. Ciò ancor di più per un expat che si deve confrontare quotidianamente con una serie di stereotipi che avvolgono, non sempre generando ilarità, l'appartenenza al nostro popolo e la provenienza dal nostro splendido paese. Sì, perché per certe cose sono orgoglioso di essere italiano, e l'enogastronomia è una di queste e devo ammettere che da quando sono qui il ritornello finale della canzone dell'ultimo Gaber risuona spesso e volentieri in certe occasioni nella mia mente ("Io non mi sento italiano, ma per fortuna o purtroppo lo sono, io non mi sento italiano, ma per fortuna, per fortuna lo sono!").  Ho avuto poche volte, complice anche una certa "importanza nella spesa", il piacere e l'onore di pasteggiare con questi che il giornalismo negli anni 70, nella specie Robert Parker, guru americano del settore, ha chiamato Supertuscan, per via del fatto che si distinguevano, e nelle intenzioni dei produttori dovevano potersi distinguere, per la differenza e la maggiore struttura,  rispetto ai semplici vini "Tuscan" della DOC Chianti 1967. I disciplinari avevano di fatto un po' appiattito questi vini nella qualità e nel gusto, anche per la non adeguatezza della vecchia formula chiantigiana proposta oramai da un secolo da Bettino Ricasoli, in cui si aggiungeva al blend anche del vino da vitigno a bacca bianca quale il trebbiano, incidendo sulla struttura e sul corpo (rimasto nel disciplinare del Chianti classico fino al 2006): fu grazie alla spinta del nipote Marchese Piero Antinori e del suo consigliere enologo Giacomo Tachis, che Mario Incisa della Rocchetta, che dal 1944 produceva già nella maremma livornese a Bolgheri un vino semplice con un Cabernet Sauvignon importato direttamente dal bordolese dagli amici duchi Silviati, si convinse nel 1968 a commercializzare come Vino da Tavola quello che poi diventerà in seguito un mito, quello del Sassicaia, e che aprirà la strada ad altre sperimentazioni. Di seguito poi vennero il Tignanello nel 1971, il Solaia e il Guado al Tasso, prodotti da Antinori sulle orme di quanto fatto dallo zio, creando una sorta di rivoluzione nel classico mondo dei "vinattieri toscani", e che solo successivamente fu recepito come fenomeno degno di tutela dall'austero mondo della regolamentazione vinicola, che negli anni 90, dopo la IGT, si arrese e concesse la DOC a questa nuova formula vitivinicola.
Con Andrea Dionisi, l'Uomo dell'Aia
Dicevo che ho bevuto ben poche volte questi vini e una costante è quella che è sempre stata la medesima persona a proporli: io per scherzare lo chiamo "L'uomo dell'aia", ma non perché si distingua per ruoli di rilevo nei tribunali internazionali o negli organi di polizia europei o abbia a che fare con la ditta che produce polli o sia un arbitro calcistico di lungo corso, ma semplicemente perché tutti gli "aia" supertuscans che ho assaggiato provengono dalla sua cantina. A quelli già citati il Commendatore Andrea Dionisi, ora funzionario qui in Commissione, ma con trascorsi internazionali di rilievo oramai da una trentina di anni, ha proposto anche il Lupicaia del Castello del Terriccio nel livornese più vicino al pisano, qualche mese fa, anche questo da includere nel gotha della Supertuscanità. Da sempre amante del "bon vivre", ci accomuna una passione per l'edonismo enogastronomico che coltiviamo da anni e che vogliamo continuare il più a lungo possibile.
Il 5 aprile a cena a casa nostra, la classica pelle d'oca appena ho preso da Andrea in mano la bottiglia per aprirla. Avevo davanti a me un Ornellaia del 2001, un altro mito, dopo il Sassicaia e il Solaia (già proposti),  fra le mani! 5 grappoli AIS, 3 bicchieri Gambero Rosso, 96/100 del Wine Spectator, 95/100 da Wine Advocate,  gigante del vino italiano, giudicato nel 2001, a un solo anno di distanza dal Solaia di Antinori, migliore vino al mondo dal "Wine Spectator" per l'annata 1998.
I "cimeli" delle altre serate con Andrea
Mi ha sempre affascinato il mondo del vino perché per me ha sempre rappresentato un intreccio di storie, di territori, di vite, di culture, ma anche perché, come un bambino davanti a una fiaba, ho sempre visto quello delle famiglie del vino italiane, io semplice uomo di provincia, come un mondo distante e inarrivabile, simile a quello delle Fate, fatto di conti, duchi, marchesi, poderi, latifondi, castelli e fonte, nonostante tali distanze socioeconomiche, di una crescente curiosità. E conoscere la storia dell'Ornellaia è anche un po' questo: Ludovico Antinori, uscito dalla tenuta di famiglia per contrasti con il padre Niccolo' ed il fratello Piero, decise di investire in America nel nuovo mondo del vino, affidandosi ad una leggenda di quel nascente mondo, l’enologo di origini russe André Tchelitscheff, che dall’epoca del proibizionismo aveva fatto scuola soprattutto in California. Lo stesso lo dissuase e lo convinse ad investire nelle tenute dell’Ornellaia, nelle terre carducciane, in quei 40 ettari ereditati dalla mamma Carlotta della Gherardesca a cui nei primi anni 90 Ludovico poi aggiunse altri 55 ettari della località Bellaria, poco lontana. Le tenute quindi sono tutte vicinissime, provengono dalle tenute marittime dei Conti della Gherardesca e quasi confinano: Sassicaia è li' vicino ed è eredità di Clarice della Gherardesca, sorella di Carlotta e moglie di Mario Incisa, i mille ettari di Guado al Tasso sono poco più lontano.
In queste terre "gherarde" nel 1981 fu prodotta la prima annata dell'Ornellaia, frutto dei più classici tagli bordolesi, con predominio di 55%–65% Cabernet Sauvignon, 20%–25% Merlot e poi Cabernet Franc e Petit Verdot. Dall'86, dai sette ettari del Cru Masseto viene prodotto lo Chateux Petrus italiano, quel Masseto che nel 2005 ebbe i 100/100 dal Wine Spectator e che forse rappresenta il non plus ultra di quello che un merlot può dare nelle itale terre.  Ludovico, uomo-marketing apprezzatissimo oltre oceano, nel 1991 cominciò la collaborazione (che prosegue ancora oggi) con Michel Rolland, il quale annovera ancora, fra le 693 cantine di cui è consulente, anche molte eccellenze. L'austerità del primo supertuscan Sassicaia, lascia spazio alla spettacolarità della Tenuta dell'Ornellaia, con cantine trasformate in permanenti show rooms e personale sempre ben versato nel marketing.
Il Marchese Leonardo Frescobaldi
Negli anni 90 l'enologo è l'ungherese Tibor Gal, cui succede, negli anni dell'acquisizione da parte di Mondavi, Thomas Deroux, ora a Chateau Palmer, e dal 2005 il bavaro-francese dall'inglese prefetto Axel Heinz, in un melting pot di prevalenza mitteleuropea anch'esso piuttosto particolare. Il balletto della proprietà si inserisce nel medesimo filone: i californiani Mondavi nel 1998, acquistano una quota, diventando poi dal 2002 unici proprietari e cedendo il 50 per cento ai Marchesi Frescobaldi, acerrimi concorrenti degli Antinori.  Per dissidi poi sulla linea aziendale con la Constellation Brands subentrata a Mondavi da qualche mese, che voleva scendere di "segmento" e Frescobaldi che voleva mantenere i brand di lusso, i marchesi fiorentini nel 2005 acquisirono l'altra metà del colosso americano e diventarono gli unici proprietari della casa.  C'è chi maligna sul fatto che tutta l'operazione Mondavi sia stata artatamente creata per il fatto che Ludovico Antinori mai avrebbe ceduto la tenuta direttamente ai nemici pari titolo Frescobaldi, ma come vi avevo detto l'intreccio è tale da far sembrare la saga quasi degna di una soap opera americana.
Per ritornare al Bolgheri Superiore Ornellaia eccolo, combinato con una amatriciana in cornucopia di pecorino sapientemente preparata dall'autoctona (perché di Rieti) Doretta, su ispirazione dell'Oste della Bon'Ora  ed una robusta "côte à l'os" alla griglia. Il colore è ancora molto pieno per avere tredici anni, e l'incipit all'olfatto è un po’ timido: sottobosco e accenni di confettura di frutta rossa, ma si deve ancora aprire. Dopo una mezzoretta si va poi sul cuoio, in una progressione “terziaria”che ci porta poi alla liquirizia, per volgere poi verso l’eucalipto, il mentolato, ma anche ad un lieve tostato, su fondo sempre di frutta rossa matura, con un ventaglio olfattivo strepitoso che quasi sembra un peccato interrompere per porgere il bicchiere alla bocca. Qui la delicatezza dei tannini è paradigmatica, la morbidezza al palato sensazionale e la persistenza lunghissima, con un retrogusto dove i ricordi di frutta rossa si combinano con una certa dose di cacao finale.
L'Ornellaia celebrativo della venticinquesima vendemmia
con l'etichetta di Michelangelo Pistoletto
Tutto cio’ avviene dopo lunga macerazione di 25-30 giorni, 12 mesi di affinamento in barriques, assemblaggio della migliore della circa novanta miscele selezionate da Axel Heinz, sei mesi ulteriori di barrique e altri dodici in bottiglia.
Del resto questa attenzione iniziale si riverbera nella loro assoluta affidabilità e longevità,  che li ha fatti diventare anche l'ultima frontiera dell'investimento finanziario, come indicato recentemente dal Sole 24 Ore in un articolo apparso qualche tempo fa. Una bottiglia celebrativa dei venticinque anni di Ornellaia dello scultore Michelangelo Pistoletto è stata battuta da Sotheby a Londra lo scorso anno a 105.000,00 Euro e l'iniziativa volta a sovvenzionare enti artistici quale è la Vendemmia D'Artista, riscuote crescente successo da oramai sei anni e quest'anno vedrà protagonista il canadese Rodney Graham.
Ben vengano serate come questa, con l'Uomo dell'Aia che ci propone delizie, che siamo pronti ad onorare. Il prossimo sarà il turno dell'eccellenza spagnola della Ribera del Duero e di un altro mito, quello del Vega Sicilia.
Un caro augurio di Buona Pasqua a tutti i lettori.

martedì 28 gennaio 2014

Vagaggini, il Sangiovese e Amantis: i virtuosismi di un grande enologo

Paolo Vagaggini e Roberto Scalacci durante il corso ONAV
alla sede CIA di Bruxelles
Ho avuto la fortuna la scorsa settimana di poter passare due serate con Paolo Vagaggini, secondo molti il maggiore esperto vivente di Sangiovese, enologo di fama mondiale, che è stato uno dei cinque winemakers selezionati dalla rivista americana leader del settore Wine Enthusiast nel 2013 per essere designato quale enologo dell'anno ( il riconoscimento è andato poi allo chef de cave di Moêt et Chandon Benoît Gouez, premiando forse piu' il "sistema Francia" che l'enologo in sé , seppur bravo). 
Nella prima serata nel nostro Corso ONAV tenuto presso la sede della rappresentanza europea della Confederazione Italiana degli Agricoltori, Vagaggini ha magistralmente descritto la vinificazione in rosso agli allievi assaggiatori con una naturalezza ed un' aneddotica che solo i grandi possono avere: del resto essere il consulente di un terzo delle cantine di Montalcino e fare il Brunello per molte altre fra cui Biondi Santi, Ciacci Piccolomini di Aragona per passare a Brunelli e a Il Palazzone (solo per citarne alcune), gli dà un'autorevolezza quasi automatica, in parte derivante  anche da quel suo tono di voce basso e quel suo modo di parlare all'impronta, mai scontato, ma denso di contenuto. All'estero la sua reputazione è notevolissima, e da grande conoscitore dei mercati, in questa prima serata ha snocciolato, fra le altre cose, un concetto che riassume l'importanza in Europa delle denominazioni d'origine e del territorio in generale:
"Negli USA i clienti in un ristorante vogliono un merlot, un cabernet, uno chardonnay, a limite un sangiovese, parlando solo del vitigno, come prodotto a sé, piuttosto spersonalizzato e decontestualizzato…non chiedono mai un Brunello di Montalcino, un Barolo, un Frascati, un Aglianico del Vulture… anche in Cina cominciano a ragionare cosi'…solo da noi, in Europa,  e dobbiamo far del tutto per preservare cio'… si richiede il frutto di un territorio,  quella combinazione di fattori umani, ambientali, agronomici e climatici che solo un vino di un determinato terroir ci puo' dare…questa è la vera ricchezza del vino …quella di esprimere, attraverso un minuzioso lavoro,  un territorio e le sue caratteristiche"…queste le sue parole al corso, semplici e dirette, che mi hanno molto colpito proprio per la loro immediatezza.
Il giorno successivo, invece, altra kermesse, questa volta nel locale Jamon Jamon a Ixelles di due colleghi assaggiatori ONAV, Lola Cardenas e Matteo Rastelli.
La serata prevedeva la presentazione dell'azienda Amantis, la cui titolare è Bernardetta Tacconi, moglie di Paolo Vagaggini, che ovviamente è l’autore di tutti i vini. Bernardetta dopo la presentazione dell'amico Roberto Scalacci, direttore dell'Ufficio CIA di Bruxelles e grande esperto di vino,  ha introdotto l'azienda, specificando che il nome Amantis, comprensibile in ogni lingua, testimonia della passione per il vino e per il territorio che l’hanno accompagnata in  questa avventura, cominciata nel 2000. 7-8 gli ettari di proprietà per una produzione di circa 40.000 bottiglie annue. L'impianto prevede in media 8100 ceppi per ettaro con bassissimo rendimento e grande concentrazione, 600-700 grammi per pianta. In alcuni casi una sperimentazione estrema ha previsto che si coltivasse una parte del vigneto a 20000 ceppi per ettari e 150 g per pianta (il vigneto più denso del mondo!), con una conseguente iper-concentrazione dei mosti, soprattutto per la produzione degli IGT ad ispirazione Supertuscan, di portata internazionale, che se cadono per terra "bucano il terreno", come ha tenuto a ribadire l'enologo senese.
 La DOC, prosegue Vagaggini, è la Montecucco Sangiovese, di recente (2011) assurta a DOCG e l'azienda, collocata fra l'Amiata e Montalcino, si trova a Montenero d'Orcia , nel comune di Castel Del Piano, già in provincia di Grosseto. Sta proprio sulla riva sinistra del fiume Orcia, e azzardando un paragone, Paolo, già collega del maestro Denis Dubourdieu dell'Università di Bordeaux, provoca "… come a Bordeaux, dove i vini migliori sono sulla Rive Gauche, anche noi siamo sulla rive gauche dell'Orcia…solo che la Rive Droite, ahinoi!!, è proprio Montalcino".  Qui Paolo tentenna e ripete che comunque a livello di brand, nonostante spesso la materia prima,  le tecniche e i vini  siano spesso  allo stesso livello di Montalcino, i risultanti non sono quelli attesi: "Il marketing non ci premia. Fra un medio Brunello o Rosso di Montalcino ed un eccellente Montecucco il consumatore medio preferisce il Brunello. È questo il prezzo delle giovani denominazioni…ma non ci arrendiamo!".
Introduce il primo vino. Si tratta di un Birbanera 2010, base aziendale; IGT Toscana con un' etichetta curiosa, che secondo la filosofia aziendale, deve esprimere il vino che c'è dentro: la birba in toscano è il gatto sul tetto e quindi questo vino, blend fra un 60 % di sangiovese, 20% merlot, poi colorino, e petit verdot, deve essere abile, scattante e adattabile ad ogni palato come un felino. Il sangiovese è riconoscibile all'olfatto, con quella nota di viola che è una costante, oltre a ciliegia, quasi cotta, e una certa speziatura , di pepe nero, che forse proviene, assieme alla robustezza, dal merlot. Molto suadente e "di grande possenza", come ogni IGT, e di una spiccata gradevolezza. Paolo poi, sottolineando la necessità dell'affinamento,  prosegue dicendo che "Non c'è fiera che tenga. E' il vino che vi parlerà e che vi dirà quando è pronto". Cio' dicendoci quanto alta sia la ricerca della qualità, valore guida superiore sicuramente ai capricci del mercato.
Con il secondo IGT, il GOGHI 2010, abbiamo una spiritosa etichetta a forma di orsacchiotto, che è piaciuta molto anche alla mia piccola Benedetta, e gran parte del vino proveniente dal vigneto iper concentrato di cui abbiamo parlato prima. Grande struttura, molta morbidezza, ciliegia, tabacco biondo, speziature dolci, ma anche mon cheri, e un finale tostato quasi di caffè al naso, con un tannino soffice, seducente ed una certa persistenza in bocca con retrogusto non eccessivamente affetto da disidratazione. Qui, secondo Bernardetta, è proprio l'Alicante, unica variante rispetto al Birbanera, vitigno di origine spagnola, che detta legge sui profumi.
Qui Paolo chiarisce, quasi a creare un punto di cesura fra quanto detto sinora e quanto da dire poi:  " Come vedete con gli IGT prendiamo di mira i mercati e sperimentando in questo modo ci divertiamo noi e facciamo contenti chi li assaggia….quando andiamo sul Sangiovese, dovendo esprimere un territorio, il gioco si fa serio" Qui ancora Paolo ci dice che il Sangiovese è molto "lunatico" come vitigno, risente molto dell'annata e del clima, e che , proprio per la sua marcata aggressività, bisogna farlo riposare almeno un anno in bottiglia dopo il classico  affinamento in legno. Quest'anno il sangiovese/brunello è di un'annata old style, come ha già annunciato in un video; è equilibrato, proprio perché il clima non ha dato problemi, e quindi sarà destinato ad una lavorazione tranquilla.
 Presenta di seguito  i vini di cui va piu' fiero: il Sangiovese Montecucco DOC 2007 riserva e quello normale 2008. L'etichetta "parlante" qui è tattile e ruvida, spiegando appunto le caratteristiche già dette del Sangiovese “ che si puo’ degustare ad occhi chiusi, perché ha una direzione precisa e la svela a chi lo assaggia”. Se gli IGT, molto invitanti, ci dicevano "Bevimi", il sangiovese si rivolge a noi con un più austero "Cerchiamo di capirci!", cambiando totalmente approccio. Bernardetta definisce il Sangiovese quale vitigno molto femminile,  poco malleabile, con sbalzi d’umore e che, come le donne, non è cedevole e si fa rispettare. Per l’abbinamento consiglia le carni, magari toscane, dalla fiorentina, agli arrosti o alla ribollita.

Assaggio il 2007, annata severa, e al naso risveglia in me le emozioni provate con i migliori sangiovese. Visciole, speziatura dolce, polvere e cioccolato e tannini molto dolci dopo 24 mesi di grandi botti di rovere di Slavonia e in bocca bevibilità assoluta e morbidezza eccelsa. Il legno quasi non si sente all’olfattiva , né si riverbera in bocca : “ Il boisé entra nel bouquet e non sovrasta il gusto del vino…in ogni mio vino cerco di non snaturare le caratterstiche del vitigno con il legno, non è nel mio stile” – specifica Vagaggini. Il 2008 Sangiovese Montecucco è più pulito, con una nota di cilegia più chiara e una violetta percepibilissima.

Dulcis in fundo il Supertuscan della casa, quell’Iperione “titanico” per possenza e struttura, ma elegantissimo in quanto a espressione gustativa. 90 % Cabernet Franc e 10 % Sangiovese, durante i rimontaggi non prometteva bene, almeno per i cantinieri, per il fortissimo odore del cabernet, viene prodotto ogni tre anni dalle migliori vigne in tremila esemplari. Abbiamo degustato il 2005,  ancora tremendamente giovane alla visiva, olfattiva e gustativa, molto speziato con un “after eight” (cioccolatino alla menta ) eclatante, toni cangianti fino al cioccolato fondente a scaglie, con qualche accenno varietale di erbaceo e peperone verde ancora intatti. Al palato è rotondo, pregnante, poi persistente e lungo, con retrogusto quasi balsamico. Veramente un buon vino.

Per concludere Scalacci ribadisce che uno dei complimenti più accettati da Vagaggini è quello “di fare i vini tutti diversi”, rispettando uno ad uno territori e produttori di provenienza. Il fatto di fare il taglio non al telefono, ma con i produttori che vanno via dopo tre ore “disfatti” dal laboratorio a Siena,  è indicativo dell’attenzione con cui si compiono certe operazioni.
Con Paolo e sua moglie Bernardetta Tacconi, titolare della Amantis
Alla mia domanda su enologi-consulenti chiacchierati e pratiche conducenti a prodotti "poco personalizzati” (vedi micro-ossigenazione), Paolo si è espresso molto diplomaticamente dimostrandosi in maniera velata contro questi modi di fare, proprio perché per piccoli produttori come Lui queste pratiche sono inconcepibili. Forse non lo sono se la produzione diventa industriale, ma non è il suo caso.

In queste due sere mi sono veramente emozionato con Paolo Vagaggini, che mi ha fatto respirare un’aria di “Sangiovesità”, mista a semplicità, trasmettendomi i veri valori che sorreggono questa bevanda straordinaria, frutto di terre sempre diverse.